La Cassazione, con sentenza nr. 17968 del 13 settembre scorso ha dichiarato la legittimità del licenziamento intimato al dipendente comunale per aver fatto un abuso dei permessi previsti dalla L. 104/92.
Nella specie, la dipendente aveva utilizzato i permessi L. 104/92, per finalità diverse dall’assistenza alla madre disabile o meglio, per recarsi a Milano a frequentare lezione di un corso di laurea.
Abuso dei permessi L. 104/92
Gli Ermellini, confermando le sentenze dei precedenti gradi di giudizio e, in perfetto allineamento con la giurisprudenza consolidata sul tema, hanno affermato che:
“In tema di esercizio del diritto di cui all’art. 33, comma 3, L. 104/92, la fruizione del permesso da parte del dipendente deve porsi in nesso causale diretto con lo svolgimento di un’attività identificabile come prestazione di assistenza in favore del disabile per il quale il beneficio è riconosciuto, in quanto la tutela offerta dalla norma non ha funzione meramente compensativa e/o di ristoro delle energie impiegate dal dipendente per un’assistenza comunque prestata. L’uso improprio del permesso può integrare, secondo le circostanze del caso, una grave violazione intenzionale degli obblighi gravanti sul dipendente, idonea a giustificare anche la sanzione espulsiva”.
La Suprema Corte ribadisce quanto affermato dalla Corte d’appello secondo la quale “la fruizione dei permessi, comportando un disagio per il datore di lavoro, è giustificabile solo a fronte di un’effettiva attività di assistenza, mentre l’uso improprio del permesso costituisce grave violazione intenzionale degli obblighi gravanti sul dipendente”.
In pratica dunque, poichè la legge dispone che il diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito spetta al “lavoratore dipendente che assiste persona con handicap in situazione di gravità…”, in ragione dell’assistenza, la quale è causa del riconoscimento del permesso, qualunque esigenza diversa da quelle proprie cui la norma è preordinata, non è ammessa.
Il beneficio concesso dalla legge, comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela. Ove manchi del tutto il nesso causale tra assenza per permesso e assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o meglio, di un abuso di diritto “giacchè tale condotta si palesa, nei confronti del datore di lavoro come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente ed integra, nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale“.
Pertanto, concludono gli Ermellini, i “permessi devono essere fruiti in coerenza con la loro funzione. In difetto di tale nesso causale diretto tra assenza dal lavoro e prestazione di assistenza, devono ritenersi violati i principi di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell’Ente assicurativo. Tanto rileva anche ai fini disciplinari“.
In merito alla giusta causa del licenziamento, la Corte conferma quanto evidenziato dai giudici d’appello che hanno valorizzato ai fini della valutazione della gravità della condotta, il carattere sistematico e la consapevolezza dell’uso improprio dei permessi; fattori anche sintomatici dell’intensità dell’elemento psicologico del dipendente, idonei a giustificare il licenziamento.