La Corte di Cassazione sez. lavoro, con sentenza nr. 22974, torna a pronunciarsi sul tema degli infortuni sul lavoro e, soprattutto della malattie professionali, escludendo il diritto del lavoratore alla rendita per malattia professionale dovuta all’uso prolungato dell’autovettura per raggiungere il posto di lavoro.
Il caso è giunto in Cassazione a seguito di ricorso dell’INAIL avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma che, condannava l’Istituto assicurativo al pagamento a favore di un lavoraotre della somma corrispondente all’indennità giornaliera ex art. 6 n. 1 DPR n. 1124 del 1965 (normativa in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali) per 61 giorni, pari ad € 2845,04, oltre accessori.
La Corte territoriale ha riconosciuto l’esistenza del nesso causale tra la patologia (ernia discale) denunciata dal F. e il prolungato tragitto giornaliero Rieti-Casperia andata e ritorno, protrattosi per diciannove anni attraverso l’utilizzo dei proprio autoveicolo.
Non dello stesso parere è la Suprema Corte. Secondo gli Ermellini infatti, “la rendita per malattia professionale richiede che la malattia sia contratta nell’esercizio o a causa della lavorazione svolta, sicché il riconoscimento del diritto alla rendita implica uno stretto nesso tra patologia e attività lavorativa, che in casi di fattori plurimi deve costituire “la condizione sine qua non della malattia“.
Proprio sulla base dello stretto legame tra attività lavorativa e malattia, la giurisprudenza della Cassazione ha distinto la rendita dall’equo indennizzo per il cui riconoscimento è stato ritenuto sufficiente che la menomazione subita dal lavoratore sia comunque connessa con il servizio prestato.
Il requisito della inscindibile connessione tra rendita e attività lavorativa, prosegue la Suprema Corte, “caratterizza anche la differenza tra malattia professionale ed infortunio sul lavoro. Solo in relazione a quest’ultimo secondo un indirizzo ormai consolidato la copertura assicurativa va estesa anche agli eventi verificatisi al di fuori dei luoghi di lavoro e non solo nel corso della prestazione lavorativa nonché per accadimenti ricollegabili seppure in forma indiretta allo svolgersi dell’attività di lavoro”.
Inoltre, la sentenza precisa come “l’articolo 3 del DPR 30 giugno 1924 n. 11224 ricollega l’assicurazione per le malattie professionali a specifiche tabelle a dimostrazione della configurabilità di un nesso eziologico tra malattia ed esercizio di attività lavorativa con possibili effetti morbigeni.
In altri termini il DPR 30 giugno 1965 n. 1124 distingue tra due ben diverse qualificazioni giuridiche di eventi lesivi oggetto di tutela, ossia “infortunio sul lavoro” e “malattia professionale”. Questi eventi, legittimando domande con una diversa causa pretendi (agente patogeno che nella generalità dei casi provoca la malattia con azione lenta e prolungata nel tempo o fatto lesivo dell’integrità dell’organismo che si- caratterizza generalmente per esaurirsi in tempi limitati) ed un diverso petitum (diversa prestazione dovuta dall’Istituto), richiedono conseguentemente sul versante processuale una distinta articolazione delle prove con riguardo anche al nesso eziologico”.
Proprio per questi motivi, gli Ermellini concludono affermando che “non è consentito procedere tout court ad una interpretazione estensiva analogica della normativa dettata per l’infortunio sul lavoro alla malattia professionale, potendo quest’ultima essere tutelata con il riconoscimento della relativa rendita in quanto “venga causata dal lavoro” e “non contratta in occasione di lavoro”.
In altre parole, la tutela dei rischi legati al tragitto casa-lavoro è solo materia di infortunio in itinere e non di malattia professionale.