Recentemente la Corte Costituzionale si è espressa a favore di un allargamento delle tutele dei lavoratori dipendenti nel caso di licenziamento e reintegro sul posto di lavoro. Ad essere messo in discussione a seguito di questo intervento è il Jobs Act, così come è applicato.
La sentenza specifica che interviene con questi chiarimenti è la numero 22 del 22 febbraio 2024, con cui viene considerata illegittima una specifica disposizione. In particolare viene messo in dubbio il concetto per cui ai fini del reintegro sul lavoro per nullità del licenziamento (per coloro che sono assunti con contratti a tutele crescenti) queste nullità devono essere sancite “espressamente”.
In pratica la Corte Costituzionale ha stabilito che le cause per cui un licenziamento è da considerarsi nullo non sono solamente quelle definite espressamente dalla legge, ma anche in base all’interpretazione dei giudici. Ma vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.
Cos’è il Jobs Act e cosa prevede
Prima di entrare nel dettaglio sulla novità espressa dalla sentenza della Costituzionale, specifichiamo a quale legge si riferisce. Al centro dell’attenzione c’è il Jobs Act, la riforma del lavoro portata avanti dal governo Renzi che ha introdotto regole specifiche per il mercato del lavoro.
Queste norme sono state introdotte per semplificare diverse situazioni di contenzioso che possono coinvolgere lavoratori e datori di lavoro. Tra queste spicca il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, per i lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015.
Questo contratto si applica ad esempio a chi viene assunto a tempo indeterminato successivamente allo svolgimento di un periodo di apprendistato o per il passaggio da un contratto determinato. Le norme prendono in considerazione l’eventualità del licenziamento illegittimo, per cui prima del Jobs Act il lavoratore poteva sempre essere reintrodotto nell’azienda.
A partire da questo intervento normativo, il diritto al reintegro diventa possibile solamente per determinati casi, previsti proprio dal Jobs Act, come per licenziamento discriminatorio, nullo (ovvero durante periodi sotto tutela, come quelli in maternità) o per specifici motivi illeciti.
Il testo quindi parla di situazioni specifiche definite espressamente dalla legge, per cui il reintegro non è sempre un diritto del lavoratore nel momento attuale. La sentenza della Corte Costituzionale di cui andremo a parlare mette in dubbio proprio questa regola.
La Corte Costituzionale allarga la tutela per i lavoratori
Con la sentenza numero 22 del 22 febbraio 2024 la Corte Costituzionale è intervenuta proprio a maggior tutela dei lavoratori, per ciò che riguarda il reintegro in azienda in diversi casi di licenziamento. Nello specifico, mette in discussione la possibilità del reintegro come diritto attualmente valida solamente per i casi previsti dalla legge.
Si parla quindi di incostituzionalità di questa specifica indicazione presente all’interno del Jobs Act. Di fatto la sentenza va ad aggiungere tutele ulteriori rispetto a quelle previste dalle norme, ovvero garantisce al giudice l’interpretazione della legge in base al caso specifico.
Nella pratica, con questo intervento è possibile per un giudice sostenere il diritto di reintegro di un lavoratore licenziato ingiustamente anche se non rientra in un caso espressamente contenuto nelle norme.
Per fare un esempio, ora possono essere presi in considerazione per il reintegro anche casi di licenziamento di tipo ritorsivo, che prima non erano valutati espressamente dalla legge.
Le conseguenze della sentenza della Corte Costituzionale
La Corte di Cassazione quindi ha ritenuto che le regole contenute nel Jobs Act non ponessero una distinzione tra licenziamenti nulli espressi o non espressi, proponendo una tutela solo per quelli espressamente definiti.
Tenendo presente questa sentenza quindi, si torna a quelle che erano le disposizioni dello Statuto dei Lavoratori precedente, con l’articolo 18. Questo articolo prevedeva che il lavoratore abbia diritto al risarcimento del danno subito a causa del licenziamento di cui sia stata accertata l’inefficacia o invalidità.
L’articolo proponeva una tutela molto più ampia in questo senso e una interpretazione specifica da parte del giudice, quello che propone in sostanza la Corte di Cassazione con l’ultima sentenza rispetto al Jobs Act.
I sindacati come Uil e Cgil si sono espressi già in modo favorevole verso questo intervento, che va ad allargare i diritti presenti per i lavoratori assunti con il contratto indeterminato a tutele crescenti.
Interventi precedenti sul Jobs Act
Non è la prima volta che la Corte Costituzionale interviene su un caso specifico andando ad analizzare le regole contenute nel Jobs Act.
Un esempio precedente a quello trattato in questo articolo fa riferimento ad una sentenza della Corte Costituzionale del 2018. In questa sede si era stabilito come incostituzionale un criterio per determinare l’indennità economica versata dal datore di lavoro al lavoratore licenziato in modo illegittimo.
Questa indennità secondo il regolamento si basa sul calcolo dell’anzianità di servizio, tuttavia non tiene in considerazione altri parametri fondamentali. Per questo motivo si trova in contrasto con alcuni diritti del lavoratore stabiliti a livello di Costituzione.
Anche in questo caso la Corte ha stabilito che il giudice può tenere in considerazione i diversi elementi del caso specifico, come le caratteristiche, anche economiche, dell’azienda, il numero di lavoratori dipendenti assunti e altre variabili, nello stabilire l’entità dell’indennità.