L’UE interviene a tutela dei lavoratori delle piattaforme digitali, come i riders ma non solo. Il Parlamento europeo, infatti, ha adottato il testo di una direttiva il cui scopo è quello di garantire quanti sono impiegati in queste piattaforme e individuare una corretta classificazione della loro posizione lavorativa. E, soprattutto, andare a correggere il lavoro autonomo fittizio. Ma non solo: l’intenzione, almeno sulla carta, è quella di introdurre delle regole precise sull’uso degli algoritmi che regolano il lavoro.
La direttiva a tutela dei lavoratori delle piattaforme digitali è stata adottata a seguito di un’analisi effettuata dalla Commissione europea nel corso del 2021, dalla quale è emerso che al momento esistono qualcosa come 500 piattaforme di lavoro digitale attive. Un settore che dà lavoro a oltre 28 milioni di persone, una cifra che dovrebbe sfiorare i 43 milioni entro il 2025.
Che cos’è il lavoro tramite piattaforme digitali?
Il lavoro tramite piattaforme digitali rappresenta un nuovo paradigma occupazionale, in cui sia le organizzazioni che singoli individui possono accedere a una vasta rete di risorse umane attraverso piattaforme online, al fine di risolvere specifici problemi o soddisfare determinate esigenze mediante il pagamento di servizi.
L’economia delle Apps sta vivendo una crescita vertiginosa, accelerata ulteriormente durante la pandemia di COVID-19. Questo modello lavorativo si è diffuso rapidamente, favorito anche dall’incremento delle consegne di cibo e beni di prima necessità. Si sta rivelando un catalizzatore per l’innovazione e l’espansione occupazionale, fornendo nuove opportunità lavorative.
Questo tipo di lavoro assume molteplici forme e manifestazioni ed è spesso associato alla cosiddetta “gig economy”. Nonostante i benefici evidenti per aziende e consumatori, la proliferazione di queste piattaforme ha generato una sorta di “zona grigia” per molti lavoratori, creando incertezza riguardo al loro status occupazionale e ai relativi diritti.
Fonte: https://www.consilium.europa.eu/it/policies/platform-work-eu/
Le piattaforme digitali di lavoro in Europa
Ma perché l’Unione europea ha deciso di intervenire a tutela dei lavoratori delle piattaforme digitali? Come abbiamo visto in precedenza, il settore – entro il 2025 – arriverà a dare lavoro a qualcosa come 43 milioni di persone in tutto il Vecchio Continente.
È bene ricordare che le piattaforme di lavoro digitali sono presenti in molti settori economici. La loro attività si svolge in loco, impiegando conducenti di viaggio e personale addetto alla consegna di cibo. Od online, fornendo servizi che permettono la codifica di dati e la traduzione.
Nella maggior parte dei casi i lavoratori della cd gig economy sono formalmente indipendenti. Si ritiene che almeno 5,5 milioni di persone siano state classificate, in maniera errata, come lavoratori autonomi.
Cosa prevede la nuova legge Ue
Attraverso la nuova legge, l’Unione europea impone ai paesi membri di introdurre una regola attraverso la quale si presupponga l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Questa situazione si viene a verificare nel momento in cui i fatti porterebbero a ritenere che sia presente il controllo e la direzione. Il rapporto di lavoro subordinato deve essere conforme al diritto nazionale e ai contratti collettivi, prendendo in considerazione anche la giurisprudenza dell’Ue.
La presunzione legale sul rapporto di lavoro ha una motivazione ben precisa. Deve correggere lo squilibrio esistente tra il potere della piattaforma di lavoro digitale e la persona che svolge l’attività. E, soprattutto, aiutare il lavoratore a beneficiare della suddetta presunzione. Alla piattaforma digitale spetterà l’onere della prova: spetterà a questa la responsabilità di dimostrare che non esiste un rapporto di lavoro subordinato.
Qual è lo scopo delle nuove norme
Grazie alle nuove norme, in estrema sintesi, viene garantito ai lavoratori delle app di non essere allontanati o licenziati sulla base delle decisioni prese da un algoritmo. O, comunque vada, da un sistema automatizzato.
Spetterà sempre alle società che stanno dietro alle piattaforme di lavoro digitali il compito di garantire il controllo umano sulle decisioni più importanti, che possano incidere direttamente sull’attività che viene svolta dai dipendenti.
Alcune norme introdotte dalla direttiva hanno lo scopo di proteggere i dati dei lavoratori in modo più solido. Le piattaforme digitali, inoltre, non potranno elaborare determinati tipi di dati personali, come quelli sullo stato emotivo o psicologico.
Perché l’Unione europea è intervenuta
La larga diffusione delle piattaforme digitali ha fatto in modo che il mondo del lavoro si trasformasse in maniera repentina. Si è venuto a delineare un nuovo modello organizzativo, che in molti hanno definito come crowd-work, ossia il lavoro della massa.
In questo contesto si muovono molti lavoratori come i rider, la cui attività è quella di consegnare cibo o merci, utilizzando delle biciclette o altri veicoli a motore.
La richiesta delle consegne parte direttamente dalla piattaforma digitale, attraverso un algoritmo. Vengono indicati i turni, i luoghi della consegna e le tempistiche entro quando effettuarla. Il lavoratore ha ben pochi spazi di manovra.
L’algoritmo è il datore di lavoro?
L’algoritmo attraverso il quale viene governata l’applicazione è, in molti casi, definito blind, perché non è trasparente e non rende noti i criteri che utilizza per fare le scelte. Anzi, sarebbe più corretto affermare che dietro all’algoritmo c’è un sistema di apprendimento automatico, che si basa sugli input che sono forniti direttamente dall’applicazione.
Tra i comandi che vengono generati non c’è solo l’assegnazione di un turno a un rider, ma anche la decisione di non farlo lavorare più. La mancata consegna di un ordine o un numero troppo basso di queste possono determinare la sospensione o il blocco dell’account. Questo significa che, in un certo senso, il reale datore di lavoro del rider è l’algoritmo.