La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 22985 del 21 agosto 2024, ha sollevato un’importante questione riguardante la restituzione della NASPI, l’indennità di disoccupazione percepita da un lavoratore dopo la cessazione di un contratto a termine.
La questione è particolarmente rilevante quando, successivamente, il contratto a termine venga successivamente dichiarato illegittimo e trasformato in un contratto a tempo indeterminato con efficacia retroattiva. La Cassazione ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, che dovranno decidere se, in tali casi, la NASPI percepita debba essere restituita all’INPS o meno.
Cos’è la NASPI?
La NASPI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) è un’indennità di disoccupazione erogata dall’INPS ai lavoratori dipendenti che si trovano senza occupazione per cause indipendenti dalla loro volontà.
Questo sussidio è finalizzato a sostenere il reddito dei lavoratori che perdono il lavoro e sono disoccupati involontariamente. La NASPI viene concessa a chi risponde a determinati requisiti, come aver maturato almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione.
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Il caso specifico: richiesta di restituzione della NASPI
Il caso che ha portato la Cassazione a rivolgersi alle Sezioni Unite riguarda un dipendente che, dopo la cessazione del suo contratto a termine, ha chiesto e ottenuto la NASPI. Contestualmente, il lavoratore ha impugnato il contratto a termine, sostenendo la sua illegittimità e chiedendo la sua trasformazione in un contratto a tempo indeterminato. Il giudice del lavoro ha accolto la richiesta, convertendo il contratto con effetto retroattivo e condannando il datore di lavoro al risarcimento del danno.
Successivamente, l’INPS ha chiesto la restituzione della NASPI percepita dal lavoratore, sostenendo che la sentenza di conversione del contratto, avendo effetto retroattivo, annullava lo stato di disoccupazione del lavoratore, che quindi non avrebbe dovuto beneficiare dell’indennità.
I due orientamenti giurisprudenziali
La richiesta dell’INPS di restituire la NASPI si basa su un orientamento giurisprudenziale che considera la percezione dell’indennità come indebita in caso di retroattiva conversione del contratto a termine. Questo orientamento, espresso dalla Cassazione con la sentenza n. 24645 del 2023, sostiene che la conversione del contratto annulla la condizione di disoccupazione retroattivamente, rendendo ingiustificato il diritto alla NASPI.
D’altro canto, esiste un altro orientamento, più favorevole al lavoratore, che ritiene che la NASPI non debba essere restituita. In base a questa interpretazione, il lavoratore è rimasto effettivamente disoccupato dal momento della cessazione del contratto a termine fino alla conversione giudiziale, e quindi l’indennità percepita sarebbe giustificata. Questo secondo orientamento è stato affermato da sentenze della Cassazione più risalenti nel tempo (Cass. 3463/1987 e 1777/1991).
La questione davanti alle Sezioni Unite
La Corte di Cassazione ha quindi deciso di rimettere la questione alle Sezioni Unite per risolvere definitivamente il contrasto giurisprudenziale. Le Sezioni Unite dovranno stabilire se la NASPI percepita dal lavoratore debba essere restituita all’INPS nel caso di conversione retroattiva del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.
Questo rappresenta un nodo cruciale, poiché la decisione influenzerà il comportamento futuro dei lavoratori e delle aziende in situazioni simili, oltre che la gestione delle richieste di restituzione da parte dell’INPS. Da un lato, l’INPS ha un interesse a recuperare le somme indebitamente versate, ma dall’altro, è necessario tenere conto del fatto che il lavoratore è rimasto effettivamente disoccupato per un certo periodo di tempo.
Come funziona la restituzione della NASPI?
In generale, la restituzione della NASPI è richiesta dall’INPS quando si verifica una situazione di indebito, ovvero quando si scopre che il lavoratore non aveva diritto all’indennità o che la somma erogata era superiore al dovuto. In caso di indebito, l’INPS invia una comunicazione al lavoratore con la richiesta di restituire le somme percepite. Il lavoratore può presentare ricorso, contestando la richiesta di restituzione, oppure può concordare con l’INPS una rateizzazione del debito.
Nel caso specifico della conversione retroattiva del contratto a termine, la questione è più complessa, poiché la disoccupazione, e quindi il diritto alla NASPI, è venuto meno retroattivamente in seguito a una decisione giudiziaria. Le Sezioni Unite dovranno quindi valutare se in tali casi il principio di retroattività possa giustificare la richiesta di restituzione o se, al contrario, debba prevalere l’effettiva condizione di disoccupazione del lavoratore nel periodo intermedio.
Conclusioni
La decisione delle Sezioni Unite sarà fondamentale per chiarire una questione giuridica molto dibattuta, che ha rilevanti implicazioni sia per i lavoratori che per l’INPS. La possibilità di richiedere la restituzione della NASPI in caso di conversione retroattiva del contratto a termine potrebbe avere un impatto significativo sui diritti dei lavoratori, ma anche sulla gestione delle risorse pubbliche.
Riepilogo finale (Check List):
- Cosa ha deciso la Cassazione? Ha rimesso alle Sezioni Unite la decisione sulla restituzione della NASPI in caso di conversione retroattiva del contratto a termine.
- Quando può essere richiesta la restituzione della NASPI? Quando una sentenza annulla lo stato di disoccupazione con effetto retroattivo.
- Quali sono i due orientamenti giurisprudenziali? Uno a favore della restituzione, l’altro contrario in base al fatto che il lavoratore è stato effettivamente disoccupato.
- Chi deciderà la questione? Le Sezioni Unite della Cassazione.
- Quale sarà l’impatto della decisione? Chiarirà se i lavoratori dovranno restituire la NASPI in casi simili.