Spesso su queste pagine ci siamo soffermati sul reddito di cittadinanza, la ben nota e chiacchierata misura di politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale. Di fatto rappresenta un sostegno economico ad integrazione dei redditi del nucleo familiare, che prevede però lo svolgimento di un percorso di reinserimento lavorativo e sociale. Di quest’ultimo i beneficiari sono protagonisti per il tramite del cd. Patto per il lavoro o Patto per l’inclusione sociale.
Ebbene, proprio su questo tema le ultime notizie che arrivano direttamente dall’Inps di certo non rappresentano un quadro così roseo del funzionamento del meccanismo. Infatti, soltanto il 20% di chi incassa il reddito di cittadinanza ha un’occupazione, mentre quasi il 60% dei beneficiari del sostegno è impiegato con contratti a termine e a tempo parziale.
Ciò è quanto emerge dall’ultimo rapporto annuale Inps, pubblicato sul sito web ufficiale dell’ente. Insomma dati di certo non molto confortanti, e che contribuiscono ad alimentare il dibattito sull’effettiva utilità del RdC e sulla necessità di apporre significative modifiche. Vediamo più da vicino alcuni numeri e percentuali senza dubbio interessanti.
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Reddito di cittadinanza: spesi miliardi nell’ultimo triennio ma le politiche attive non funzionano
Ci si interroga sull’effettiva utilità del RdC ma intanto l’istituto di previdenza, nella sua relazione annuale (clicca qui per visualizzarla), fornisce i dati sui costi della misura nei primi 36 mesi di applicazione (aprile 2019-aprile 2022). Il sussidio ha raggiunto 2,2 milioni di nuclei familiari per 4,8 milioni di persone, per un costo totale di poco inferiore ai 23 miliardi di euro. Mentre l’importo medio mensile si attesta sui 577 euro circa a persona.
Il problema di fondo è che il reddito di cittadinanza sta scontando le inefficienze delle politiche attive del lavoro, ovvero tutte le iniziative messe in campo da istituzioni, nazionali e locali, per favorire l’occupazione e l’inserimento lavorativo. Il bilancio di dette politiche è negativo: infatti se la misura ha pur costituito un ‘salvagente’ contro la povertà per non poche persone e famiglie, c’è chiaramente qualcosa che non funziona sul piano delle idee e dei progetti per favorire la ricerca del lavoro.
Su alcuni milioni di titolari del reddito di cittadinanza per almeno 11 mensilità, oltre l’80% è risultato non avere avuto alcuna posizione lavorativa nell’identico anno. Inoltre non è chiara l’effettiva utilità dei centri per l’impiego, nell’attività di ricerca e individuazione di un lavoro da parte dei percettori di reddito di cittadinanza. Infatti non esistono analisi o dati precisi e ufficiali di Anpal o Regioni, che consentano di capire se qual è la reale portata dell’azione dei Cpi sparsi nel territorio. E questo è un ulteriore elemento che gioca a sfavore del RdC.
Reddito di cittadinanza: le percentuali non fanno stare tranquilli
Come accennato, le percentuali non giovano alla ‘reputazione’ del reddito di cittadinanza. Dati alla mano, questa è la situazione in sintesi, così come rilevata dall’istituto di previdenza nelle sue periodiche analisi:
- tra i poco più di 2 milioni di percettori del reddito di cittadinanza in età lavorativa, con almeno 11 mensilità percepite nel 2021, risulta occupato soltanto il 20% delle persone;
- nel settentrione la situazione è un po’ meno negativa, in quanto circa il 26% (46% se considerati solo gli uomini) di chi incassa il contributo contro la povertà risulta essere anche lavoratore;
- la percentuale di riferimento è invece il 36%, quando si considera la popolazione degli stranieri extracomunitari beneficiari del reddito di cittadinanza.
Un altro dato che fa riflettere è che gli aventi diritto al Rdc, e che lavorano, sono nella maggioranza dei casi impiegati, con contratti a termine e a tempo parziale. Chiaramente, non la situazione migliore per sperare di uscire dal meccanismo di tutela del reddito di cittadinanza, grazie ad un lavoro stabile e remunerato adeguatamente. Di ciò si trova ampio dettaglio nel citato Rapporto annuale INPS, che dedica una parte specifica al reddito di cittadinanza e che fa altresì il punto in tema di partecipazione al mercato del lavoro.
Il problema dei lavoratori a rischio povertà
Infine, non potrà stupire che tra i beneficiari del Rdc vi siano molti working poors, ovvero coloro che fanno parte della categoria dei lavoratori poveri. Essi, pur avendo un lavoro, sono in rischio povertà e esclusione sociale a causa del livello assai ridotto del loro reddito, dell’incertezza occupazionale e non solo. Basti pensare al dato per cui un lavoratore su tre guadagna meno di mille euro al mese, tenuto conto anche dei part-time.
Mentre il 23% dei lavoratori – quindi quasi uno su quattro – guadagna meno dei 780 euro, che sono la soglia d’importo massima del sussidio RdC per una persona che vive da sola in affitto. Ecco perché il reddito di cittadinanza si sta confermando un tema caldo del dibattito politico e sociale e da più parti si evidenzia la necessità di correttivi e modifiche.
Il testo del XXI Rapporto annuale INPS