Lo scorso 20 luglio è stato presentato il rapporto CNEL sul mercato del lavoro 2009-2010; nulla di buono, soprattutto per i giovani. La riduzione del tasso di attività complessivo, nel 2009 è passato dal 63 al 62.4%. Tale contrazione è stata maggiore per i più giovani (15-24 anni), per i quali peraltro, le riforme scolastiche ed universitarie hanno spinto un numero sempre più alto di ragazzi a proseguire gli studi.
A ciò si aggiunge però, la crescente difficoltà a trovare un’occupazione, che, si è tradotta in una reazione di scoraggiamento, che ha condotto nei migliori dei casi a proseguire gli studi, e nei peggiori, a far parte della schiera dei Neet, ovvero di coloro che risultano non occupati ma nemmeno impegnati in attività di formazione
“Anche presso i giovani un po’ più grandi (25-34 anni) si è osservata una caduta marcata del tasso di attività che, si è tradotto in una contrazione dell’offerta di lavoro di questa classe d’età del 4 per cento nel solo 2009.
Ma soprattutto, i dati relativi al 2009 evidenziano una caduta del tasso di attività anche per le classi d’età centrali (le cosiddette prime age), ovvero quelle che includono le persone tra i 35 e i 54 anni“.
“Gli unici a non aver apparentemente risentito della crisi sono stati i lavoratori più maturi, appartenenti alla classe 55-64 anni, il cui numero è risultato in aumento anche nel 2009.
I 55enni entrati in questa classe d’età oltre ad essere più numerosi dei 65enni che ne sono usciti tendono anche a posticipare il pensionamento, restando mediamente occupati più a lungo (anche se 91mila hanno invece perso il posto di lavoro).
Per tutte le altre classi di età, invece, si registra una contrazione particolarmente marcata per i più giovani. Per le persone tra i 15 e i 24 anni la caduta è notevole, -10.8 per cento in un solo anno, e anche tra gli occupati più grandi (fino a 34 anni) si rileva un’intensa riduzione (-5.8 per cento).
Tra il 2008 ed il 2009 si sono persi 485mila posti di lavoro per persone fino ai 34 anni, mentre per le classi più mature (dai 35 anni in su) si registra un incremento di 125mila occupati, concentrati essenzialmente sulle età prossime al pensionamento.
In questa ottica, la crisi nei suoi effetti occupazionali appare avere avuto una chiara caratterizzazione generazionale. Ad aver pagato i maggiori costi sono infatti i più giovani; tale fenomeno peraltro non è un’esclusiva italiana, ma si sta osservando in altri paesi, sollevando un certo dibattito sugli effetti persistenti su una generazione”.
Aumenta il divario tra nord e sud
Nel corso del 2009 l’offerta nel Centro-Nord è cresciuta, seppur a tassi modesti rispetto ai ritmi tenuti nel decennio precedente.
“Nell’ultimo quinquennio, il tasso di attività (per le persone tra i 15 e i 64 anni) nel Sud si è ridotto di oltre tre punti percentuali, passando dal 54.3 per cento del 2004 a poco più del 51 per cento in media nel 2009. Il calo della partecipazione ha interessato sia le donne, per le quali peraltro partiva da livelli estremamente contenuti (il tasso di attività femminile nel Sud è pari a 36.1 per cento nel 2009, ed era 38.7 nel 2004),che gli uomini. Per questi ultimi il calo è stato anche più intenso; il tasso di attività è sceso da 70.3 per cento a 66.3: in altre parole, un uomo su tre tra i 15 e i 64 anni nel Sud risulta inattivo”.
Crollo dei contratti a termine
Nel corso del 2009, l’incidenza dei contratti a termine è scesa dal 13.3 al 12.5 per cento. Non sono stati rinnovati i contratti a termine giunti a scadenza, e così alla fine della prima metà del 2009 l’occupazione a termine si era già ridotta di quasi il 5 per cento rispetto ai livelli medi registrati nel corso del 2008.
“Una persona che risultava occupata dipendente con un contratto a termine nel 2007, nel 2008 aveva il 50.7 per cento delle probabilità di rimanere nello stesso status (dato che i contratti generalmente durano almeno un biennio), e il 28.9 per cento delle probabilità di diventare occupato permanente, passando così ad una forma di occupazione più stabile. Nel 2009 si rileva una sostanziale stabilità della probabilità di restare temporaneo (pari al 50.3 per cento), un calo della probabilità di passare all’occupazione permanente (24.7 per cento), mentre è aumentata la probabilità di perdere l’occupazione (la probabilità di disoccupazione è aumentata dal 5.8 all’8 per cento), o di uscire addirittura dal mercato del lavoro (la probabilità di passare nelle fila degli inattivi è salita dal 10.7 al 14.1 per cento)”.
Sono 350 mila i posti di lavoro a rischio nel 2010 ma potrebbero arrivare fino a 420 mila. Mentre la disoccupazione potrebbe salire all’8,7 per cento (pari a circa 241 mila persone senza lavoro) ma nello scenario peggiore rischia di toccare il 9 per cento (circa 315 mila unità). La maglia nera va al Sud da cui dipende sostanzialmente la generale contrazione degli occupati. Ma paradossalmente i disoccupati crescono al Nord.
Sono gli uomini i più disoccupati
“Fino al 2008 le donne rappresentassero la maggioranza dei disoccupati, sebbene le differenze con gli uomini fossero limitate (nel 2008, rispettivamente, le une e gli altri rappresentavano il 52 e il 48 per cento dei disoccupati). Dal 2009 la situazione si è invece ribaltata; gli uomini costituiscono ora la maggioranza (51.4 per cento) dei disoccupati. Ciò è dovuto soprattutto al fatto che la crisi ha colpito settori produttivi dove sono gli uomini ad essere occupati.
Per quanto riguarda l’età, gli incrementi relativi maggiori si sono registrati nelle classi di età centrali (45-54 anni), dove i disoccupati sono cresciuti del 55 per cento tra il 2007 ed il 2009. In termini assoluti, invece, l’aumento più consistente del numero di disoccupati nello stesso periodo si è registrato nella classe 35-44 anni, peraltro la più numerosa all’interno delle forze di lavoro; tra il 2007 e il 2009 i disoccupati di tale classe d’età sono aumentati di 130mila persone, quasi un terzo dell’aumento complessivo.
Fonte: www.portalecnel.it