L’otto gennaio scorso, il settimanale “l’Espresso” ha pubblicato un’inchiesta sui cd. work-alcoholic ossia persone schiave della bottiglia sul posto di lavoro.
“E’ un esercito silenzioso che beve insegnando, guidando un tir, azionando un macchinario o prima di entrare in sala operatoria. Non esistono statistiche precise sul problema; se il Trentino ha istituito test anti-alcol per i lavoratori , l’unica “fotografia” in merito è quella scattata dall’Istituto superiore di sanità, insieme al coordinamento delle Regioni, secondo cui una quota tra il quattro e il 20 per cento degli incidenti sul lavoro (940 mila circa l’anno) sarebbe legata all’alcol. Significa che un minimo di 37 mila e un massimo di 188 mila infortuni dipendono dall’abuso di bevande; e questa è una stima per difetto”.
Prosegue l’articolo con le parole del Dott. Francesco Piani del Centro di alcologia di San Daniele del Friuli, nonchè coordinatore nazionale del progetto di prevenzione delle Regioni: “L’alcol è un killer di Stato che uccide 34 mila persone all’anno, quando la droga non arriva a mille. La vittima più frequente è chi conduce una vita apparentemente normale. Beve il 75 per cento degli adulti e 9 milioni sono a rischio di alcolismo cronico.
Anche l’Istat fotografa una situazione allarmante per l’abuso di alcoolici: il consumo giornaliero cresce con l’età. Se fra i minorenni è al 2,6%, raggiunge il massimo a 65 anni con il 60,1 % della popolazione. In ufficio colpisce tutta la piramide, dai neoassunti fino ai capitani d’azienda: con un tasso di 0,5 il rischio di incidente raddoppia, con un grammo per litro è di sei volte superiore, con 2 grammi si arriva a 30 volte.
“E se, fino a qualche tempo fa, c’era l’idea che fossero più vulnerabili le occupazioni umili e dal basso livello di scolarizzazione richiesto – edili in testa – la mappa adesso è cambiata: più sale il livello di istruzione, infatti, più il problema si presenta in forma acuta. E i professionisti maggiormente esposti ora sono i rappresentanti, gli agenti di assicurazione, gli esperti di pubbliche relazioni, gli organizzatori di meeting”.
Anche le casalinghe non sono esenti dal problema e, tra l’altro più difficili da monitorare perché “nascoste”. Il sociologo Marco Giordani, che sta effettuando il monitoraggio nazionale per conto delle Regioni (si legge nell’articolo) afferma che “Se ormai le adolescenti bevono al bar senza problemi, per cui è facile fare stime precise, la maggioranza delle donne adulte lo fa ancora di nascosto, in casa, mentre i figli sono a scuola e i mariti al lavoro”.
Studi rilevano che, in merito alla condizione lavorativa, la più elevata proporzione di consumatori di età superiore a 15 anni, (80,4%) si riscontra tra gli individui che al momento della rilevazione risultavano essere occupati seguiti da individui in cerca di occupazione o servizio di leva/civile (65,4%) e pensionati o inabili (69,5%). La più bassa proporzione si registra invece le donne casalinghe (52,3%).
In relazione alla principale fonte di reddito dichiarata da soggetti di età superiore a 15 anni, i dati del 2006 mostrano una maggior propensione a bere tra gli individui con reddito da lavoro autonomo (82.2%) seguiti da quelli con redditi da lavoro dipendente (79,9%).
Infine, i dati preliminari 2008 del sistema di sorveglianza “Passi” (Progressi delle aziende sanitarie per la salute in Italia), progetto del ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali e delle Regioni che ha l’obiettivo di mettere a disposizione di tutte le Regioni e Aziende sanitarie locali del Paese una sorveglianza dell’evoluzione di questi fenomeni nella popolazione adulta, evidenziano che: “Poco meno di due terzi della popolazione tra 18 e 69 anni del pool delle Asl che partecipano al sistema Passi consumano abitualmente alcolici. Quasi un sesto di loro può essere considerato un bevitore ad alto rischio. “
Fonte: www.espresso.repubblica.it e www.epicentro.iss.it