Il Garante della privacy, con provvedimento del 24 febbraio 2010, vieta le autorizzazioni scritte del datore per assenze momentanee dal lavoro. Secondo il Garante, viola la dignità e la riservatezza delle persone, il datore di lavoro che obbliga i dipendenti a richiedere l’autorizzazione scritta per andare in bagno o, comunque, per allontanarsi temporaneamente dalla postazione di lavoro. E’ quindi illecito il trattamento dei dati effettuato con queste modalità da parte di un’azienda nei confronti dei propri operai.
Il provvedimento nasce a seguito delle notizie di stampa riportate da un quotidiano a diffusione nazionale –secondo cui Sistemi Sospensioni S.p.A. (di seguito, la società), presso il proprio stabilimento di Sulmona, avrebbe adottato modalità organizzative dell’attività lavorativa che prevedono la compilazione, da parte dei dipendenti, di appositi “tagliandi” volti ad autorizzare gli allontanamenti temporanei dalla postazione di lavoro, ivi compresi quelli per recarsi alle toilettes.
La società aveva imposto ai dipendenti di compilare tagliandi di carta, indicando il proprio nominativo, il reparto di appartenenza, l’orario e la motivazione per cui ci si assentava, con lo scopo di monitorare l’allontanamento degli addetti alla catena di montaggio.
Secondo l’azienda, il tagliando costituiva “titolo valido per il lavoratore per dimostrare che il proprio allontanamento è avvenuto nel rispetto delle procedure aziendali, con la debita segnalazione al proprio capo […] e nel rispetto dell’intero ciclo di produzione”. I permessi, pur restando nella disponibilità degli operai, dovevano essere controfirmati e autorizzati dal capo reparto. La società aveva precisato al Garante della privacy che le informazioni non erano registrate né conservate e che, pertanto, non veniva effettuato alcun trattamento di dati.
Secondo il garante, l‘acquisizione, a mezzo compilazione dei tagliandi scritti, di dati personali relativi alle necessità “fisiologiche” dei lavoratori risulta contraria all’art. 2 del Codice, il quale prevede che il trattamento dei dati personali debba essere effettuato nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità degli interessati; ciò, soprattutto in considerazione del potenziale condizionamento (finanche in termini di mortificazione personale) che tale trattamento può ingenerare nei lavoratori in ordine alla propria libertà di movimento per l’espletamento dei relativi bisogni fisiologici.
Inoltre, la modalità organizzativa dei tagliandi, non tiene in debita considerazione neanche il principio di necessità stabilito dall’art. 3 del Codice, che impone la minimizzazione dei dati personali oggetto di trattamento qualora la finalità possa essere ugualmente perseguita mediante il ricorso a strumenti e misure di maggiore garanzia per gli interessati (ad esempio, mediante la menzionata richiesta in forma orale resa ai propri responsabili di unità dai dipendenti, di per sé già tenuti ad operare secondo correttezza e buona fede ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c.).
In pratica, l’Autorità ha stabilito che quello realizzato dalla società era a tutti gli effetti un trattamento di dati perché, anche se non trattenute o archiviate, le informazioni annotate sui tagliandi, comprese quelle relative alle esigenze fisiologiche degli operai, venivano conosciute dai responsabili che dovevano autorizzare gli allontanamenti.
La modalità di trattamento, oltre che sproporzionata rispetto alle finalità per le quali veniva svolta, risultava peraltro lesiva della dignità dei lavoratori anche in considerazione del potenziale condizionamento della libertà di movimento che ne conseguiva. Il Garante ha dunque vietato l’uso dei permessi e ha prescritto all’azienda di predisporre nuove modalità di comunicazione degli allontanamenti dei dipendenti.
fonte: www.garanteprivacy.it