Una vera catastrofe quella dell’indennità una tantum, prevista per i collaboratori a progetto. Secondo i dati della CGIL, nei primi sei mesi dell’anno sono state presentate circa 18mila domande ma, solo poco più di 3mila sono state accolte. Il resto delle domande sono state respinte per mancanza di requisiti.
Fammoni, ha affermato che, seppur i dati sono “molto vicini alla realtà” eppure, “archiviato il primo semestre non esistono ancora dati ‘pubblici’ sul ricorso all’indennità una tantum per i collaboratori a progetto anche se è facile spiegarsi il perché”.
I dati dimostrano “un altro sonoro fallimento annunciato dopo quello dello scorso anno. Nel 2009 si diede la colpa alla scarsa informazione, quest’anno che scusa si inventerà il governo per giustificare il fatto che meno del 20% delle domande presentate sono state accolte e che tantissimi non abbiano neanche potuto fare domanda a causa dei requisiti capestro esistenti?”.
Il dirigente sindacale sostiene che: “E’ evidente che se si esclude a priori dal beneficio tutti i collaboratori della Pubblica amministrazione e tutti coloro che hanno percepito nell’anno precedente un reddito inferiore a 5.000 euro, ovvero la maggioranza dei contratti, e se si escludono tutti i nuovi assunti del 2010 in possesso dei requisiti ma che non hanno lavorato almeno 3 mesi l’anno precedente, non possono che essere questi i risultati. Tutto questo per indennità che nella media sono inferiori ai 2.000 euro l’anno”.
Ciò dimostra “la differenza fra realtà e propaganda”. La CGIL, ribadisce, “lo aveva affermato durante la passata legge Finanziaria e i dati dimostrano che avevamo ragione. Con questa ulteriore denuncia affermiamo che si è ancora in tempo a rimediare: si cambino i requisiti e si dia risposta positiva a quelle migliaia di persone che hanno perso il contratto e sono state escluse. Si tratta solo di volontà politica, le risorse ci sono. Ma purtroppo non lo si farà. Lo slogan di questo governo – conclude Fammoni – ‘nessuno sarà lasciato solo’ è clamorosamente smentito dai fatti”.
Fonte: www.cgil.it