Lo scorsco 17 giugno è stato presentato il rapporto Censis, Ismu e Iprs sull’immigrazione e il lavoro, commissionato dal Ministero del lavoro. In Italia ci sono circa 5 milioni di immigrati, su un campione di 16mila stranieri, il 40,6 % è laureato, il 33% ha una buona conoscenza dell’italiano, sufficiente per il 42 per cento, ottima per l’8,9 per cento. Solo per il 15,1 per cento è ancora insufficiente.
Per il 31 % degli immigrati, lo stipendio non supera gli 800 euro mensile; solo il 13,3 per cento ha una retribuzione netta mensile che va da 1.200 a 1.500 euro, e l’1,2 per cento guadagna più di 2 mila euro. Il 77% degli immigrati ha un lavoro regolare, per lo più nel settore terziario, nell’ambito dei servizi e del commercio.
I 16% degli immigrati lavora come addetto alla ristorazione e alle attività alberghiere, il 10% come assistente domiciliare che, sale al 19% tra le donne, il 9% è operaio generico nei servizi, 8,3% nell’industria.
Cambiando lavoro, gli immigrati non riescono a migliorare la loro vita: solo nel 21% dei casi, infatti si verifica un miglioramento mentre, nell’11,9 per cento dei casi il cambiamento peggiora la condizione lavorativa.
Per la stragrande maggioranza, gli immigrati trovano lavoro grazie al passaparola (73,3%), agli intermediari privati e alle agenzie di lavoro interinale (9 per cento), e, solo nell’1,9 % dei casi grazie ai Centri per l’impiego.
Sacconi ha criticato il lavoro dei centri per l’impiego, affermando che “è stato un errore affidarlo alle provincie”. Per il ministro, i centri per l’impiego non hanno funzionato bene, in merito agli immigrati. “Non siamo affatto soddisfatti, la devoluzione diretta alle province fu un tragico errore”. “Più si scende nella penisola e meno siamo soddisfatti: per quanto è proprio al Sud che ci sarebbe un gran bisogno di centri per l’impiego efficienti. Vorrei vedere i direttori dei Centri per l’impiego meno presenti ai troppo numerosi convegni che li vedono protagonisti e più presenti, invece, sul proprio posto di lavoro a cercare di rendere efficienti i servizi che sono chiamati ad offrire”.
Per il Ministro la soluzione sarebbe unire alla presenza pubblica quella del privato sociale, in una logica comune e non di reciproca competizione. Richiamando il piano di integrazione varato dal Governo lo scorso 10 maggio, ha illustrato i tre assi fondamentali: un’opera di “monitoraggio delle professioni richieste dal mercato del lavoro territoriale”: analisi che – ha precisato – può essere utilmente svolta anche dalle associazioni di categoria.
In secondo luogo, c’e bisogno di una “certificazione di mestiere che non sia la pura certificazione formale di aver seguito un corso”, ma un effettivo riconoscimento che un singolo soggetto sa svolgere un determinato mestiere. In terzo luogo, è necessaria un’azione di “formazione per compiti, in base alla situazione lavorativa e non per funzione e in base alla situazione scolastica”.
Se è vero che in Italia abbiamo un forte disallineamento fra professioni richieste e mestieri presenti, aggiunge il Ministro,”è vero anche che occorre intervenire fortemente sul versante delle competenze e del loro riconoscimento per rendere più facile alle persone immigrate, e non solo a loro, l’incontro con il mercato del lavoro”.
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Fonte: www.censis.it, www.inail.it, www.ismu.org