La Corte di Cassazione, con sentenza nr. n. 9043/2011 ha affermato che, per superare la presunzione di gratuità, tipica del lavoro svolto da un famigliare nell’azienda di famiglia, il rapporto di lavoro subordinato tra familiari va dimostrato in maniera rigorosa, nel senso che è necessaria una rigorosa prova degli elementi costitutivi e di svolgimento del rapporto di lavoro subordinato .
Il caso ha riguardato una lavoratrice che chiedeva il riconoscimento del diritto all’indennità di maternità per l’astensione obbligatoria e facoltativa dal lavoro in relazione al parto. Secondo la Corte d’appello, come ritenuto dal Tribunale, le risultanze dell’ispezione eseguita dall’INPS e delle generiche e lacunose prove testimoniali espletate portano ad escludere la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la ricorrente e il padre per il 1992.
Secondo gli Ermellini, per superare la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative rese in ambito familiare (che trova la sua fonte nella circostanza che tali prestazioni vengono normalmente rese affectionis vel
benevolentiae causae) è necessario che la parte che faccia valere in giudizio diritti derivanti da tali rapporti offra una prova rigorosa degli elementi costitutivi del rapporto di lavoro subordinato e, in particolar modo, dei requisiti indefettibili della subordinazione e della onerosità (Cass. 19 maggio 2003, n. 7845).
In particolare, continua la Corte, con riferimento all’attività lavorativa prestata in agricoltura in favore di parenti o affini (nel quadro di colture tradizionali e di piccole proprietà) la mera prestazione di attività lavorativa non è sufficiente a far configurare un rapporto di lavoro subordinato, essendo invece necessaria una specifica prova della subordinazione e della onerosità delle prestazioni, che può essere fornita anche al di fuori degli clementi sintomatici più tipici della subordinazione, purchè risulti un nesso di corrispettività tra la prestazione lavorative e quella retribuiva, entrambe caratterizzate dall’obbligatorietà, e la prestazione lavorativa sia soggetta a direttive e controlli, pur se in un eventuale quadro caratterizzato da maggiore elasticità di orari (Cass. 23 gennaio 2004, n. 1218).