La Corte di Cassazione con Sentenza n. 4623/2010, ha riconosciuto il diritto alla lavoratrice madre o al lavoratore padre a fruire di due ore di permesso giornaliero retribuito per ciascun minore, nel caso di presenza in famiglia di più minori, di età inferiore ai tre anni, con handicap.
Il lavoratore proponeva giudizio, nei confronti dell’INPS, per chiedere l’accertamento del suo diritto ad usufruire di due permessi giornalieri retribuiti, ai sensi della L. n. 104 del 1992, art. 33, e D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 42, e quindi doppio rispetto a quello ordinario, essendo padre di due gemelli riconosciuti portatori di “handicap in situazione di gravità”, di età inferiore ai tre anni. Tale richiesta veniva negata anche dal proprio datore di lavoro poichè l’Istituto aveva escluso specificamente il suo diritto. I primi due gradi di giudizio confermavano la tesi dell’Inps. Pertanto il lavoratore ricorreva in cassazione.
Una premessa sulla normativa:
La Legge n. 104/1992 prevede, all’art. 33, agevolazioni per i lavoratori che assistono soggetti portatori di handicap (la cui condizione deve essere accertata mediante le commissioni mediche previste dall’art. 4 della stessa L. n. 104 del 1992); in particolare il comma 2 dispone che la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, possono chiedere ai rispettivi datori di lavoro di usufruire, in alternativa al prolungamento del periodo di astensione facoltativa, di permessi orari retribuiti rapportati all’orario giornaliero.
In particolare, fino al compimento di 3 anni di età del bambino disabile spettano:
- 2 ore al giorno, in caso di orario lavorativo pari o superiore a 6 ore;
- 1 ora al giorno, in caso di orario lavorativo inferiore a 6 ore.
Tale disposizione è stata recepita nell’articolo 42, comma 1, del Decreto Legislativo n. 151/2001. Per tale permesso (che l’art. 42, comma 1, cit. definisce “riposo giornaliero retribuito”) è dovuta un’indennità, a carico dell’ente assicuratore, pari all’intero ammontare della retribuzione, che viene anticipata dal datore di lavoro e viene portata a conguaglio con gli apporti contributivi dovuti all’ente (art. 43, comma 1, del T.U.); il periodo di permesso è computato nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità (art. 43, comma 2, e art. 34, comma 5, del T.U.).
Secondo la Corte, “l’agevolazione prevista dalla legge è diretta non tanto a garantire la presenza del lavoratore nel proprio nucleo familiare, quanto ad evitare che il bambino handicappato resti privo di assistenza, di modo che possa risultare compromessa la sua tutela psico-fisica e la sua integrazione nella famiglia e nella collettività, così confermandosi che, in generale, il destinatario della tutela realizzata mediante le agevolazioni previste dalla legge non è il nucleo familiare in sè, ovvero il lavoratore onerato dell’assistenza, bensì la persona portatrice di handicap”.
Per l’ipotesi di lavoratori che assistono figli “con handicap in situazione di gravità”, il Legislatore, in ragione della concomitanza degli implicati valori di rilievo costituzionale (quali l’esigenza del bambino di ricevere un’assistenza continua e adeguata dai propri genitori, l’interesse del datore di lavoro a ricevere la prestazione e la compatibilità economica delle prestazioni assistenziali con la generale funzione di assicurazione sociale svolta dall’Istituto), ha definito con esattezza l’agevolazione spettante prevedendo il diritto della madre-lavoratrice, o del padre-lavoratore, a fruire, in alternativa al prolungamento del congedo parentale, di permessi giornalieri di due ore per il bambino di età sino a tre anni.
In tal modo, continua la corte, la norma in esame esprime una precisa scelta di valori che è collegata alla primaria necessità di assistenza secondo uno “standard” orario – all’interno della giornata di lavoro – commisurato alla presenza di un bambino disabile e che si realizza con la previsione di un più esteso arco temporale di tutela, in caso di opzione per la non sospensione del rapporto lavorativo, rispetto all’ipotesi del bambino senza handicap.
Scelta che risulterebbe evidentemente vanificata ove si escludesse che, in ipotesi di pluralità di bambini con handicap, spetta un permesso giornaliero di due ore per ciascun bambino, che si configurerebbe in tal caso una evidente alterazione rispetto al predetto parametro (due ore al giorno per ogni bambino) e, peraltro, si determinerebbe una irragionevole disparità, in senso del tutto opposto alla intentio legis, rispetto all’ipotesi di pluralità di bambini non svantaggiati, per i quali viene espressamente prevista dall’art. 41 del T.U. la moltiplicazione dei periodi di riposo giornaliero (sì che i genitori di due bambini senza handicap fruirebbero di quattro ore al giorno, mentre per due bambini con handicap spetterebbero solo due ore).
D’altra parte, il cumulo di permessi è consentito – come riconosce lo stesso Istituto – fra permessi giornalieri (per bambini “con handicap grave” sino a tre anni di età) e permessi mensili di tre giorni (oltre tale età) e, dunque, a maggior ragione esso si giustifica in relazione alla necessità di assistere durante la stessa giornata due bambini con disabilità, entrambi di età inferiore a tre anni”
In quest’ultima ipotesi, dunque, il bilanciamento dei diversi interessi coinvolti non può che avvenire secondo l’indicato parametro, che presuppone la prevalenza dell’interesse del bambino e la tutela, prioritaria, del suo sviluppo e della sua salute quali diritti fondamentali dell’individuo (ex art. 3 Cost., comma 2, e art. 32 Cost.), sì che, alla luce di una interpretazione della L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 2, orientata alla complessiva considerazione di tale prevalente tutela, deve riconoscersi il diritto della lavoratrice madre, o del lavoratore padre, di figli “con handicap in situazione di gravità” ad usufruire, in alternativa al prolungamento fino a tre anni del congedo parentale, di due ore di permesso giornaliero retribuito per ciascun bambino sino al compimento del terzo anno di vita (e quindi di un permesso doppio in caso di figli gemelli, entrambi con handicap grave).