La Cassazione, con sentenza nr. 4476 dello scorso 21 marzo 2012, ha affermato che la natura di lavoro “a contratto” o “a progetto” non può essere considerata se sostenuta da un controllo “particolarmente accentuato ed invasivo” da parte dell’azienda.
Il caso ha riguardato una lavoratrice del call center Atesia – Almaviva contact che, ricorreva al giudice per vedersi riconoscere la natura subordinata del suo contratto a progetto con il call center. Il tribunale di primo grado, rigettava tale ricorso; di diversa ipotesi la corte d’appello che dichiarava la natura subordinata del rapporto di lavoro a far data dal 2001 “sino ad oggi”, con relativa condanna del call center al risarcimento del danno. La società proponeva ricorso in cassazione.
Gli Ermellini, dopo aver ribadito la distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo (da rinvenirsi nell’assoggettamento o meno al potere direttive, organizzativo e disciplinare del datore), ritengono provato l’elemento della subordinazione come accertato in appello poichè:
- “l’attività si svolgeva all’interno dei locali aziendali e che la lavoratrice doveva coordinarsi con le esigenze organizzative aziendali” e “quindi, la lavoratrice era pienamente inserita nell’organizzazione della società, utilizzando strumenti e mezzi di quest’ultima senza alcun rischio di impresa;
- che la stessa, era fortemente assoggettata al potere di controllo e direttivo poichè, l’attività della lavoratrice era sottoposto ad istruzioni specifiche, sia nell’ambito di briefing finalizzati a fornire informazioni e specifiche in merito alle prestazioni contrattuali sia con puntuali ordini di servizio, sia a seguito dell’intervento dell’assistente di sala”;
- che in sostanza, il “concorso congiunto del sistema informatico in grado di controllare l’attività della telefonista in tutti i sui aspetti, e della vigilanza, mostrava l’esistenza di un controllo particolarmente accentuato ed invasivo, non usuale neppure per la maggior parte dei rapporti subordinati esistenti e quindi inconciliabile con il rapporto autonomo”.
Inoltre, la Corte precisa che, la possibilità della lavoratrice di effettuare un orario di lavoro autodeterminato, pur nell’ambito delle sei ore previste, non è motivo da solo sufficiente a provare la natura autonoma del rapporto di lavoro.
Pertanto, “qualora il lavoratore è pienamente inserito nell’organizzazione della società, utilizzando strumenti e mezzi di quest’ultima senza alcun rischio di impresa e qualora riceva dall’azienda “puntuali ordini di servizio”, il contratto da applicare è quello che prevede la subordinazione del lavoratore e non la collaborazione”.
Fonte: www.diritto24.ilsole24ore.com
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