Buoni pasto smart working: spetta la tassazione agevolata del fringe benefit? La nuova interessante precisazione arriva dall’Agenzia delle Entrate, questa volta sul tema dell’esenzione dalle trattenute fiscali, per i buoni pasto attribuiti a chi lavora alle dipendenze, in regime di smart working. Infatti, secondo la tesi dell’Amministrazione finanziaria, detti mezzi di pagamento si avvalgono dell’esenzione fiscale fino a 4 euro al giorno, se in forma cartacea; 8 euro se in forma elettronica.
In sintesi, questo è quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate, con il parere incluso nella risposta all’interpello numero 956-2631/2020. A dare gli utili chiarimenti è la Direzione Regionale del Lazio dell’Agenzia; in risposta ad un ente bilaterale confederale il quale, durante il periodo di lavoro agile, ha continuato ad erogare i buoni pasto ai propri lavoratori subordinati.
Vediamo allora che cosa è stato chiarito in tema di parziale esenzione fiscale e buoni pasto smart working.
Esenzione fiscale buoni pasto: il contesto di riferimento
In primis, occupiamoci in sintesi dei buoni pasto: che cosa sono in concreto? Ebbene, dal punto di vista giuridico, essi non sono altro che titoli di pagamento o mezzi di pagamento – detti anche ticket restaurant – aventi valore predeterminato. Sono consegnati dal datore di lavoro pubblico o privato ai propri lavoratori subordinati, al fine si costituire un servizio sostitutivo della mensa aziendale.
In virtù dell’entrata in vigore, a partire dal 9 settembre 2017, del decreto 7 giugno 2017 n. 122, pubblicato dal Ministero dello Sviluppo Economico, ossia il MISE, assieme al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sono state introdotte regole essenziali in materia. Come ad esempio la facoltà del cumulo di un massimo di 8 buoni nell’ambito di una identica spesa.
Va rimarcato che questa è stata novità che ha inteso venire incontro alle richieste di non pochi supermercati; e aziende della grande distruzione al fine di incentivare l’utilizzo di detti mezzi di pagamento. In precedenza, invece, la cumulabilità di questi titoli era vietata dalla legge.
Buoni pasto: definizione
I buoni pasto sono dunque dei documenti cartacei o elettronici, attraverso cui il titolare può avvalersi di un servizio alternativo alla mensa aziendale, per un valore corrispondente a quello del valore facciale del buono pasto stesso.
Al contempo, gli esercizi convenzionati hanno a disposizione delle prove documentali, che permettono di attestare alla società di emissione di aver dato luogo alla prestazione di cui al buono.
Chi può utilizzarli e dove
Chiariamo che i destinatari di questa tipologia di fringe benefit, sono tutti coloro che lavorano in modo subordinato; in ambito pubblico o privato, sia full-time che part ì-time. Fonte normativa di dettaglio resta, in ogni caso, il CCNL applicato al settore. I buoni pasto possono essere sfruttati presso locali commerciali come self-service, bar, pizzerie, ristoranti, supermercati, droghiere ecc.
Gli aventi diritto possono riconoscere agevolmente le attività che accettano buoni pasto, giacchè queste ultime espongono in vetrina degli adesivi con i loghi dei buoni pasto accettati per i pagamenti.
Buoni pasto smart working: il significativo chiarimento dell’Agenzia delle Entrate
Come accennato all’inizio, ai buoni pasto attribuiti ai dipendenti in smart working si applica la (parziale) esenzione fiscale fino a 4 euro al giorno se cartacei o 8 euro se elettronici. Ciò in ragione del parere fornito dagli uffici delle Entrate, con la risposta all’interpello citato.
In buona sostanza, l’Amministrazione finanziaria ha chiarito senza mezzi termini che niente cambia, ai fini della tassazione fiscale, se il dipendente, che si avvale dei buoni pasto svolge la prestazione in ufficio o in smart working. La motivazione fornita è assai semplice da comprendere. Infatti, il regime fiscale agevolato è valevole, indipendentemente dalle concrete modalità di lavoro; in virtù del fatto oggettivo per il quale non sono previsti limiti normativi in merito all’erogazione dei buoni pasto.
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In altre parole, secondo la tesi dell’Agenzia, detti titoli di pagamento costituiscono una mera prestazione sostitutiva del servizio di somministrazione del vitto da parte dell’azienda; ed in quanto tali non sono in alcun modo condizionati nè dall’orario di lavoro, nè dalle concrete modalità di svolgimento delle mansioni indicate in contratto.
C’è da dire che la risposta fornita dalla Direzione regionale del Lazio è di grande utilità e fuga diversi dubbi; stante il notevolissimo ricorso allo smart working, nell’ultimo anno, da parte di enti pubblici ed aziende private, per evidenti ragioni collegate all’emergenza sanitaria.
Il quesito da cui è giunta la risposta ad interpello
Come summenzionato, la risposta in oggetto segue al quesito fatto pervenire agli uffici dell’Amministrazione finanziaria, da parte di un ente bilaterale, circa il possibile assoggettamento ad IRPEF dei buoni pasto riconosciuti ai dipendenti pubblici o privati, che prestano l’attività in regime di smart working. Nel dettaglio, il soggetto istante, nell’ipotesi in cui fosse stata ammessa la rilevanza fiscale dei buoni pasto, chiedeva se l’azienda avrebbe dovuto operare o meno le necessarie ritenute a titolo di acconto, come sostituto d’imposta. Analogamente a ciò che accade di solito con riferimento alle trattenute Irpef sulla retribuzione.
Ebbene, come delineato, la risposta è stata quella della conferma dell’esenzione fiscale per i buoni pasto sino a 4 euro al giorno se cartacei; o 8 euro se elettronici. Pertanto, il datore di lavoro non è tenuto ad applicare la ritenuta Irpef a titolo d’acconto verso i dipendenti in smart working.
Detassazione delle erogazioni alimentari: il fondamento nel TUIR
In relazione al regime fiscale inerente i buoni pasto, l’Agenzia delle Entrate nella risposta fornita ha peraltro evidenziato due aspetti interessanti. Infatti, quanto disposto dal decreto del MISE n. 122 del 7 giugno 2017, alla lettera c) dell’articolo 4, fa sì che i buoni pasto possano essere attribuiti ai lavoratori a tempo pieno o parziale; anche laddove l’orario di lavoro non preveda una pausa per il pranzo. Ciò costituisce una previsione che “tiene conto della circostanza che la realtà lavorativa è sempre più caratterizzata da forme di lavoro flessibili”.
Non solo: nel rispondere al quesito citato, l’Amministrazione finanziaria ricorda quanto all’articolo 51 comma 2, lettera c) del TUIR – Testo unico delle imposte sui redditi. In base a detta disposizione, da un lato, le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, o le mense organizzate dall’azienda o gestite da terzi non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente; dall’altro, le prestazioni sostitutive delle somministrazioni di vitto – ossia i buoni pasto in questione – debbono ritenersi esenti da Irpef fino all’importo giornaliero di 4 euro se in formato cartaceo, o 8 euro se in formato elettronico.
Concludendo, la normativa mira a favorire in qualche modo i rapporti di lavoro, attraverso l’esclusione (parziale) della tassazione sulle erogazioni, legate alla necessità dell’ente pubblico o dell’azienda, di provvedere alle esigenze alimentari dei lavoratori pubblici o privati, durante l’orario di lavoro.