Almeno a prima vista potrebbe apparire un fulmine a ciel sereno, ma tant’è. E’ notizia delle ultime ore quella per cui la Commissione Europea, di certo non nuova ad iniziative di questo tipo nei confronti dell’Italia, ha scelto di inviare all’Italia un parere motivato, nell’ambito di una procedura d’infrazione legata all’introduzione dell’assegno unico in Italia, avvenuta lo scorso anno.
In particolare, la disciplina che regola questa misura di sostegno alle famiglie con figli a carico e che nel nostro paese ha avuto il merito di accorpare e razionalizzare gli strumenti anteriormente esistenti (tra cui gli assegni al nucleo familiare – ANF), presenterebbe un requisito di natura discriminatoria.
Insomma, quanto sostenuto dalla Commissione UE non è di certo una velata accusa, ed anzi l’avvio della procedura d’infrazione ne è dimostrazione. Quest’ultima altro non è che un meccanismo con cui la Commissione UE può agire contro uno Stato membro, che non rispetta le normative europee. Di per sé la procedura è suddivisa in più fasi, come l’invio di lettere di messa in mora e di pareri motivati.
Vediamo più da vicino queste ultime novità sull’assegno unico e quale scenario si apre ora per l’Italia.
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Assegno unico e violazione delle norme UE: chiarimenti
Com’è noto, l’assegno unico ha sostituito il grosso delle detrazioni per i figli a carico. Oggi spetta ed è erogato, ricorrendo una serie di requisiti che attengono ad cittadinanza, residenza e soggiorno. Mentre non vi sono particolari limiti riguardo alle categorie di persone: possono richiederlo infatti lavoratori subordinati, autonomi e professionisti, disoccupati, pensionati e non solo. Inoltre non sussistono limiti ISEE, ovvero l’assegno può essere erogato anche in assenza di questo indicatore.
In verità la procedura d’infrazione, sopra accennata, non è una novità di questi ultimi giorni. Essa prende di mira il requisito dei beneficiari, rappresentato dai due anni di residenza nel territorio italiano – con convivenza nello stesso nucleo familiare dei figli.
L’assetto normativo italiano in tema di assegno unico non terrebbe infatti adeguatamente conto dei principi generali e delle norme UE in tema di:
- coordinamento della sicurezza sociale – con riferimento in particolare al regolamento (CE) 2004/883;
- libera circolazione dei lavoratori – con riferimento regolamento (UE) n. 492/2011 e all’art. 45 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
Tra l’altro, vi è una espressa norma dell’appena menzionato regolamento sul coordinamento della sicurezza sociale del 2004, che obbliga a non introdurre requisiti di residenza ai fini del riconoscimento di prestazioni di sicurezza sociale. E tra queste indubbiamente debbono ritenersi comprese misure di sostegno alla famiglia come l’assegno unico.
Il parere motivato segue alla lettera di costituzione in mora
In estrema sintesi, la Commissione contesta dunque la condizione di accesso al beneficio costituita dalla residenza continuativa, perché di fatto non sarebbe equa e non tratterebbe tutti i cittadini UE in modo identico, invece discriminandoli.
Ebbene, pochi giorni fa la Commissione ha pubblicato un parere motivato e il documento rappresenta l’ulteriore step della procedura d’infrazione, dopo la lettera di costituzione in mora spedita lo scorso febbraio.
Alcuni mesi fa il nostro paese rispose alla UE, adducendo ragioni a sostegno della misura dell’assegno unico, ma quando scritto nel documento non fu considerato soddisfacente dalla stessa Commissione. Infatti l’esecutivo comunitario ha dichiarato pubblicamente che “la risposta non affronta in modo soddisfacente i suoi rilievi”.
Cosa potrebbe succedere ora?
Lo scenario potrebbe complicarsi per l’Italia. Perché da questo momento vi saranno 2 mesi di tempo a disposizione per adeguarsi alle richieste della Commissione, introducendo modifiche ai requisiti dell’assegno unico. In caso contrario quest’ultima potrà valutare di deferire il caso alla Corte di giustizia UE.
Che significa esattamente? Ebbene, quando si dice che la Commissione Europea, nel quadro di una procedura di infrazione verso uno Stato membro UE, opta per il deferimento alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, di fatto intende portare fino in fondo un procedimento legale che coinvolge le istituzioni comunitarie e uno Stato UE.
Detto procedimento nasce, dicevamo, dall’orientamento della Commissione, secondo cui l’Italia non avrebbe adempiuto ad obblighi derivanti dal diritto dell’Unione Europea.
Il ruolo della Corte di Giustizia UE
Lo ribadiamo per chiarezza: se lo Stato membro – in questo caso l’Italia – non si allinea e non rispetta gli obblighi entro il termine indicato dalla Commissione nel parere motivato, quest’ultima potrà scegliere di spostare il caso alla Corte di Giustizia dell’UE, di fatto coinvolgendola direttamente. La Corte di Giustizia è infatti l’organo giudiziario dell’UE e ha il ruolo di interpretare e far rispettare il diritto dell’Unione.
In altre parole, deferire la questione sull’assegno unico e sul requisito della residenza almeno biennale alla Corte di Giustizia significa che:
- la Commissione UE farà ricorso contro l’Italia innanzi alla Corte,
- chiedendo un provvedimento sulla asserita violazione del diritto dell’UE.
La Corte dovrà così occuparsi direttamente del caso assegno unico, valutare le eventuali violazioni delle norme UE ed emettere infine una sentenza con cui o confermare la violazione oppure negarne l’esistenza. In particolare, qualora la Corte ritenga sussistente una violazione, potrà imporre sanzioni o misure correttive nei confronti dell’Italia.
Ecco perché il futuro dell’assegno unico deve ritenersi condizionato anche da questa procedura d’infrazione e non è affatto escluso che il Governo modifichi a breve le regole sui requisiti.
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