Stop ai licenziamenti avvenuti dopo diversi danni dalla riorganizzazione aziendale, infatti, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo – causa soppressione del posto di lavoro – deve essere contestuale alla dichiarazione di esubero del personale. Non è quindi valido adottare il provvedimento dell’extrema ratio dopo diversi anni dall’effettiva riorganizzazione aziendale.
Così si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 11352 del 29 aprile 2019.
Soppressione del posto del lavoro: la vicenda
La Suprema Corte è stata interrogata in merito a un licenziamento intimato a un lavoratore, per soppressione del posto di lavoro, a diversi anni di distanza dalla riorganizzazione aziendale. Sul punto, in sede di primo grado di giudizio, il Tribunale di Roma ha dichiarato il licenziamento illegittimo, ordinando al datore di lavoro di corrispondere al lavoratore un’indennità risarcitoria pari a 22 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970).
I giudici, in particolare escludevano la sussistenza del giustificato motivo oggettivo posto a fondamento del recesso (soppressione del posto di lavoro). Infatti, la riorganizzazione aziendale, solo programma e delineata, non era stata, nei fatti, attuata. Ciò era di fatto dimostrabile dal lasso temporale tra la comunicazione formale della soppressione della funzione di direzione risorse umane ed il provvedimento di licenziamento. Inoltre, a sostegno della tesi dei giudici, si osserva come la funzione svolta dal lavoratore licenziato venisse in seguito assegnata ad altro lavoratore. Questo a conferma dell’insussistenza della ragione organizzativa posta a base del recesso.
L’intento ritorsivo era, invece, dimostrato, tra l’altro, dalla cadenza temporale degli eventi rilevanti in causa. Fra questi, la richiesta di rivendicazioni economiche connesse ad un diverso inquadramento; e la manifestata volontà di usufruire di un periodo di malattia che precedevano la determinazione di recesso.
Il datore di lavoro impugna la sentenza e ricorre in Cassazione.
I motivi del ricorso
Il ricorrente dichiara, innanzitutto, che il giudice della Corte territoriale sarebbe incorsa in due errori:
- il primo, rappresentato dal fatto di aver posto il licenziamento in collegamento causale con la riorganizzazione del 2011, mentre vi era stata una seconda riorganizzazione, avviata, all’inizio del 2014, dal nuovo direttore generale;
- un secondo errore, originato appunto dalla prima confusione, e consistito nel non aver valutato che, all’interno della seconda organizzazione generale ve ne era stata una specifica, avviata nel settembre del 2014. Tale riorganizzazione aveva coinvolto in particolare la funzione delle risorse umane nell’ambito della quale era occupato il lavoratore licenziato con compiti di “coordinatore operativo”. Tale processo organizzativo aveva portato alla istituzione della nuova “Direzione Risorse Umane ed organizzazione” con competenze diverse rispetto alla Direzione Risorse Umane soppressa nel 2010.
Inoltre, la società aveva allegato che l’ufficio amministrazione del personale, prima della riorganizzazione, contava circa 7 unità lavorative che, successivamente, scendevano a quattro. Ciò a dimostrazione che il licenziamento impugnato non era isolato e ad personam ma si inseriva nel contesto della riorganizzazione medesima.
Riorganizzazione aziendale posto soppresso: la sentenza
La Corte di Cassazione respinge il ricorso e dichiara il licenziamento illegittimo. Per gli ermellini le censure riconducibili ai predetti motivi si risolvono tutte in una richiesta di revisione delle valutazioni di merito espresse dalla Corte di Appello, inammissibile ed estranea alla natura ed alla finalità del giudizio.
I giudici di legittimità, sono pienamente in linea con quanto dichiarato dalla Corte territoriale. Quest’ultima ha ritenuto insussistente la ragione organizzativa posto a fondamento del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, accertando, sulla base di ulteriori elementi di giudizio, il “quid pluris” ovvero l’intento ritorsivo, sotteso alla decisione datoriale di espulsione del lavoratore.
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