A fine marzo 2017, la Corte di Cassazione si è espressa con la sentenza no. 8260, ribaltando il giudizio della Corte di Appello di Milano in merito al reclamo posto da un lavoratore con livello di Quadro, indotto nel 2011, a firmare una transazione sindacale con procedura di licenziamento, con supposto dolo da parte del datore di lavoro che con “silenzio malizioso” lo aveva spinto verso tale comportamento, facendogli credere di rientrare nel novero dei dipendenti da porre in trattamento di mobilità.
La Corte territoriale non aveva ravvisato alcuna imposizione da parte dell’Azienda per la sottoscrizione dell’accordo tale da renderlo invalido, anche se la stessa aveva poi assunto un altro lavoratore per la medesima posizione lavorativa.
Da ultimo invece, la Suprema corte ha accolto il ricorso del lavoratore, ribaltando i due gradi di giudizio precedenti, facendo emergere il dolo da parte dell’Azienda, sottovalutato dai precedenti giudici, per aver indotto ingannevolmente il dipendente verso un accordo risolutivo del rapporto di lavoro, con l’ulteriore aggravante di avere immediatamente proceduto ad una nuova assunzione.
“Silenzio malizioso” come dolo commissivo e omissivo
Si è parlato infatti di dolo commissivo compiuto ai sensi dell’Art. 1439 c.c., ed omissivo per il comportamento reticente tenuto dall’Azienda, tale da invalidare l’accordo, proprio perché basato sull’artifizio, per trarne un guadagno indebito.
L’accordo sindacale è una prassi consolidata come quella svolta in sede protetta presso la Direzione Territoriale del Lavoro, per la composizione in termini transattivi sia di licenziamenti individuali, plurimi e collettivi.
Attraverso un accordo scritto, le parti si impegnano, attraverso la corresponsione di una somma a ristoro del danno emergente, alla rinuncia di qualsiasi impugnazione dell’atto di licenziamento, sottoscrivendo quello che in gergo viene chiamato “accordo tombale”, cioè di nulla a pretendere rispetto a quanto dedotto nell’accordo stesso, una novazione contrattuale che definisce i termini del rapporto tra Datore di Lavoro e lavoratore dipendente.
La nozione di dolo, così come precisa l’art. 43 del c.p, consta in quell’elemento psicologico del reato, costitutivo del fatto illecito, poiché il soggetto ha piena coscienza e volontà delle proprie azioni, nell’arrecare danno a terzi.
La prassi normalmente vuole che a seguito di una procedura interna all’azienda concertata poi con le parti sindacali, si giunga ad una risoluzione alternativa a quella giudiziale, trovando per le parti una giusta soddisfazione, tale che le Aziende, con il supporto del Consulente del Lavoro in sede stragiudiziale, diano inizio ad una contrattazione tra offerta, proposta ed accettata, per redigere un atto, in accordo con le parti sindacali o del Ministero del Lavoro, con l’ulteriore possibilità di deposito dello stesso presso la Cancelleria del Tribunale della Circoscrizione.
Proprio la natura della formalizzazione di tale accordo, comporta ob torto collo, l’accettazione totale e definitiva di quanto contenutovi. La Sentenza 8260/2017 ribalta la certezza dell’accordo, ammettendo infatti che l’accordo stesso, siglato in sede protetta, possa essere oggetto di richiesta di invalidazione.
Pertanto, se nel caso si specie si è a lungo dibattuto sulla maliziosità del comportamento aziendale, da oggi, con tutta probabilità, il lavoratore sarà meno condiscendente, temendo di essere stato indotto, con fine psicologia manageriale, verso una decisione che sembrava senza ritorno.
Resta ovvio che sia a carico del lavoratore provare che l’Azienda abbia perpetrato un comportamento lesivo, come nel caso in oggetto oltre alla volontà di promuovere in giudizio, sino a trovare la giusta soddisfazione, affrancandosi ai tempi della giustizia.
Dall’altro, le Aziende che vorranno sottoscrivere accordi transattivi dovranno porre una miglior attenzione sia nel comportamento da mantenere durante il periodo di transizione che nel seguente non dando adito con fatti che possano ricusare quanto sancito con l’accordo.