La Corte Costituzionale, con sentenza nr. 147 dello scorso 7 giugno, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 4, del decreto legge 98 del 2011, poi legge 111/2011 (la manovra estiva varata dall’ultimo governo Berlusconi), nella parte in cui prevedeva l’obbligo di aggregazione, in istituti comprensivi, delle istituzioni scolastiche autonome costituite separatamente da direzioni didattiche e scuole secondarie di I grado sotto i 1000 alunni.
Il giudizio di legittimità costituzionale è stato promosso da dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Umbria, Sicilia, Puglia e Basilicata e, verteva anche sul comma 5 dello stesso art 19; per questa ultima parte, la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale.
Ma torniamo al comma 4 dell’art. 19 della L. 111/2011. Secondo tale norma: “Per garantire un processo di continuità didattica nell’ambito dello stesso ciclo di istruzione, a decorrere dall’anno scolastico 2011-2012 la scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado sono aggregate in istituti comprensivi, con la conseguente soppressione delle istituzioni scolastiche autonome costituite separatamente da direzioni didattiche e scuole secondarie di I grado; gli istituti compresivi per acquisire l’autonomia devono essere costituiti con almeno 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche”.
Secondo le regioni ricorrenti, tale norma sarebbe in contrasto con gli artt. 117,terzo e sesto comma, 118, 119 e 120 della Costituzione, per violazione del principio di leale collaborazione e di ripartizione di competenze tra stato e regioni, nonchè, per lesione dell’autonomia finanziaria delle Regioni.
Inoltre, le regioni osservano, che tali norme comportano una significativa riduzione del numero delle scuole dell’infanzia, delle scuole primarie e delle scuole secondarie di primo grado mediante la formazione di istituti comprensivi, imponendo un numero minimo di iscritti come condizione per ottenere l’autonomia e determinando una diminuzione del numero dei dirigenti scolastici.
La Corte costituzionale, richiama le precedenti sentenze n. 200 del 2009 e n. 92 del 2011con le quali, è stata chiarita, la differenza esistente tra le norme generali sull’istruzione – riservate alla competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera n), Cost. – e i principi fondamentali della materia istruzione, che l’art. 117, terzo comma, Cost. devolve alla competenza legislativa concorrente.
In particolare si stabiliva che rientrano tra le norme generali sull’istruzione «quelle disposizioni statali che definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario e uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell’istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale), nonché la libertà di istituire scuole e la parità tra le scuole statali e non statali».
Sono, invece, espressione di principi fondamentali della materia dell’istruzione «quelle norme che, nel fissare criteri, obiettivi, direttive o discipline, pur tese ad assicurare la esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale in ordine alle modalità di fruizione del servizio dell’istruzione, da un lato, non sono riconducibili a quella struttura essenziale del sistema d’istruzione che caratterizza le norme generali sull’istruzione, dall’altra, necessitano, per la loro attuazione (e non già per la loro semplice esecuzione) dell’intervento del legislatore regionale» (sentenza n. 92 del 2011 che richiama la precedente n. 200 del 2009).
Sulla base di ciò, continua la Consulta, “la disposizione censurata oltre a mostrare un certo margine di ambiguità perché, mentre impone l’aggregazione delle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, in istituti comprensivi, non esclude la possibilità di soppressioni pure e semplici, incide direttamente sulla rete scolastica e sul dimensionamento degli istituti, materia che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 200 del 2009, n. 235 del 2010 e n. 92 del 2011), non può ricondursi nell’ambito delle norme generali sull’istruzione e va, invece, ricompresa nella competenza concorrente relativa all’istruzione.
L’art. 19, comma 4, infatti, pur richiamandosi ad una finalità di «continuità didattica nell’ambito dello stesso ciclo di istruzione», in realtà non dispone sulla didattica: esso, anche con questa sua prima previsione, realizza un ridimensionamento della rete scolastica al fine di conseguire una riduzione della spesa. L’aggregazione negli istituti comprensivi, unitamente alla fissazione della soglia rigida di 1.000 alunni, conduce al risultato di ridurre le strutture amministrative scolastiche ed il personale operante all’interno delle medesime, con evidenti obiettivi di risparmio; ma, in tal modo, essa si risolve in un intervento di dettaglio, da parte dello Stato, in una sfera che, viceversa, deve rimanere affidata alla competenza regionale”.
Pertanto, conclude la Corte, l’art. 19, comma 4, del d.l. n. 98 del 2011, va dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., essendo una norma di dettaglio dettata in un ambito di competenza concorrente
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