Con Sentenza numero 2904 dello scorso 13 febbraio, in pieno periodo “carnevalesco”, la Corte di Cassazione sezione lavoro ha stabilito il principio secondo cui fare troppi scherzi sul lavoro costituisce un grave inadempimento degli obblighi di diligenza tale da legittimare il licenziamento da parte del datore di lavoro.
Un lavoratore si era rivolto al Giudice del Lavoro proponendo ricorso contro il suo licenziamento avvenuto per giusta causa, a seguito di uno scherzo fatto ad un suo collega sul posto di lavoro. Ovvero “per avere, sulla linea di assemblaggio dello schienale anteriore dell’Alfa Mito, volutamente inserito nei tubi “Protech” carte ed altro materiale di risulta”.
Il Tribunale aveva quindi parzialmente accolto le istanze del lavoratore trasformando il licenziamento da licenziamento per giusta causa a licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Nel giudizio di secondo grado la Corte d’Appello dichiarava l’illegittimità del licenziamento in questione, condannando la società alla reintegra del lavoratore nel suo posto di lavoro ed al risarcimento del danno ex art. 18 L. n. 300/70 così come richiesto in primo grado, oltre al pagamento delle spese del doppio grado.
La Corte di merito riteneva che, pur essendo emersa la prova dei fatti contestati al lavoratore, la sanzione del licenziamento risultava sproporzionata rispetto a questi ultimi.
I giudici di legittimità hanno ritenuto corretto ribaltare la sentenza della corte territoriale e dare ragione al datore di lavoro.
Gli ermellini rilevano che la sentenza impugnata:
non solo ha accertato la sussistenza dei fatti e la commissione ad opera del lavoratore, ma ha anzi accertato che fatti identici a quelli contestati fossero stati più volte commessi da questi in passato, ritenendo tuttavia difettare la proporzione tra i fatti contestati e la massima sanzione, opinando che essi fossero da imputare a “scherzi” compiuti soprattutto nei confronti dell’addetta ai controlli, evidenziando inoltre che tale comportamento non rientrava in alcuna delle ipotesi previste dal Ccnl quali causa di licenziamento.
Ma la stessa decisione della Corte d’Appello risulta erronea e contraddittoria in quanto:
essa per un verso ha accertato quello che, anche per il suo notevole prolungarsi della condotta, non può che qualificarsi come un grave inadempimento degli obblighi di diligenza e correttezza gravanti sul lavoratore subordinato; d’altro canto ha escluso la legittimità della massima sanzione qualificando i fatti come un presunto gioco o scherzo perpetrato nei confronti dell’addetta ai controlli, che comunque tale, stante l’intollerabile reiterazione nel tempo, non poteva ritenersi, tanto più che la stessa Corte di merito ha accertato che ad un certo punto la T. decise di portare I.O. dal direttore e riferire quanto accadeva da tempo.
Deve ancora considerarsi che nella lettera di contestazione venne imputato allo anche un grave atto di insubordinazione, consistente nel fatto che il lavoratore, allorquando gli venne prospettato dalla T. di portare a conoscenza dei fatti il Direttore (ciò che risulta in aperto contrasto col presunto animus iocandi), rispose “tanto il Direttore non può farmi niente…oggi parto per le Filippine”.
Infine per la Cassazione la sentenza impugnata non ha adeguatamente considerato che:
nell’ipotesi di danneggiamento volontario al materiale dell’azienda o al materiale di lavorazione, legittimante il licenziamento ai sensi della lettera b) dell’art. 10 del c.c.n.I. di categoria, richiamato dall’azienda, non può rientrare solo il fatto illecito di provocare consapevolmente un danno permanente al materiale di lavorazione (la sentenza impugnata esclude infatti che vi sia stata una modificazione strutturale della cosa o un deterioramento di sufficiente consistenza, pag. 14), ma anche un danno immateriale, consistente nella manipolazione e svilimento del materiale aziendale, tanto più grave in quanto, ripetuto per lunghissimo tempo, era idoneo a rendere quel materiale inaccettabile dai clienti dell’azienda, esponendola ad una seria lesione della propria immagine presso la clientela “qualora l’addetta al controllo non si fosse accorta della manipolazione ed i sedili fossero stati in conseguenza recapitati all’ordinante riempiti di cartacce”, cosi come osservato dal Tribunale
Pertanto tale comportamento risulta dunque poter concretare anche quel grave nocumento morale o materiale per l’azienda, pacificamente previsto dall’art. 10 del c.c.n.l. che contempla la giusta causa di licenziamento.