La Corte di Cassazione è intervenuta nuovamente sul tema del salario minimo, che agita il dibattito politico proprio in un periodo in cui il potere d’acquisto dei cittadini e delle famiglie risulta eroso dalla morsa dell’inflazione e dai rialzi dei prezzi.
In un tessuto sociale oggi condizionato dal carovita, ma anche da cronici ritardi nei rinnovi dei contratti collettivi, emergono situazioni di ‘lavoro povero’, come evidenziato nella recente sentenza 27711/ 2023 della Suprema Corte. Il provvedimento di questo giudice di fatto stabilisce che un salario minimo fissato per legge non è esente da un controllo di congruità rispetto ai parametri costituzionali della giusta retribuzione.
Al contempo la Cassazione ha anche rimarcato che in materia di stipendi, la retribuzione lorda non può essere il riferimento – ma piuttosto va garantito un salario minimo dignitoso e costituzionale. Vediamo allora più da vicino le recenti statuizioni della Corte.
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Salario minimo: il caso concreto in breve
La Suprema Corte si è espressa con un recente provvedimento che chiude un iter giudiziario rilevante per i diritti dei lavoratori. Nel caso concreto si tratta di quelli un sorvegliante dipendente di una cooperativa, che aveva fatto ricorso in tribunale affermando di essere penalizzato da una retribuzione troppo bassa.
Egli aveva domandato al giudice del primo grado che fosse accertato il suo diritto ad incassare un trattamento retributivo di base non al di sotto di quello del Ccnl dei dipendenti dei proprietari di fabbricati, ovvero i portieri. In altre parole, il ricorso chiedeva un adeguamento del salario minimo, considerato troppo basso pur essendo regolato da un contratto ad hoc.
Ebbene il tribunale del primo grado aveva accolto la richieste e in seguito condannato la società cooperativa a pagargli più di vent’anni di differenze retributive. Tuttavia vi fu poi il dietrofront della Corte di appello di Torino, che diede torto al lavoratore in base alla motivazione secondo cui lo stipendio mensile lordo sarebbe al di sopra della soglia di povertà fissata dall’Istat.
La pronuncia della Cassazione sul Salario Minimo
Ebbene il principio stabilito dalla Suprema Corte, chiamata a decidere sulla questione, è sostanzialmente questo: nella valutazione di un salario minimo legale, non si può considerare come riferimento la mera retribuzione lorda in quanto non si collega ad un ammontare del tutto spendibile da parte del lavoratore.
Non solo. Secondo la Cassazione l’azienda non avrebbe applicato l’art. 36 della Costituzione, che fissa il diritto a una retribuzione:
- proporzionata alla quantità e qualità del lavoro compiuto;
- sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Di fatto la pronuncia ha accolto la tesi del dipendente e ha riformato la sentenza del secondo grado di giudizio perché:
- in appello chi ha emesso la sentenza, lo ha fatto sulla scorta della retribuzione lorda,
- ma l’indice Istat di povertà attiene alla capacità di acquisto immediata di alcuni beni essenziali.
In breve, secondo la Cassazione va distinto il salario di fatto dal salario minimo costituzionale, dato che – come dicevamo – lo stipendio lordo non si riferisce ad un importo completamente spendibile da un lavoratore. Perciò quest’ultimo non può essere preso come riferimento per la valutazione di un salario minimo legale, ma anzi detto salario deve considerare anche e soprattutto gli indicatori economici e statistici utilizzati per misurare la soglia di povertà (indice Istat).
Conclusioni
La decisione della Corte di Cassazione appare di rilievo generale, perché negli ultimi mesi negli ambienti della politica ci si è interrogati sul tema del salario minimo e su quali regole e provvedimenti adottare per introdurne uno con legge dello Stato.
In qualche modo questo giudice ha anzi anticipato la politica e, con sentenza, ha in sostanza stabilito che il cosiddetto salario minimo possa essere fissato dal giudice in modo che sia proporzionale e sufficiente a garantire gli standard minimi di legge. In altre parole la retribuzione deve garantire la possibilità di vivere una vita a misura d’uomo ed assicurare l’accesso ai beni essenziali.
Ecco perché ha senso parlare di salario minimo costituzionale. Ed anzi la retribuzione minima fissata per legge non è esente da una verifica del magistrato sulla sua congruità, rispetto ai parametri costituzionali della giusta retribuzione.
Nel nostro paese, lo rimarchiamo, il salario minimo non è disposto in generale per legge, in quanto la tutela della retribuzione adeguata è assicurata per il tramite della contrattazione collettiva. Nei vari Ccnl, che sono frutto della contrattazione tra le parti, sono fissate le condizioni di lavoro, tra cui appunto anche le retribuzioni dei dipendenti.
Video commento
Di seguito il video commento della Sentenza della Cassazione sul Salario minimo.