La Corte di Giustizia Europea, con sentenza nr. C- 361/2012, ha enunciato un interessante principio in tema di indennità di risarcimento per contratti a termine illeciti affermando che il diverso trattamento economico esistente tra la conversione di un contratto a termine e la tutela di un dipendente a tempo indeterminato illegittimamente licenziato, previsto dalle leggi italiane, non è contraria alle disposizioni comunitarie contenute nell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.
Andiamo per ordine: Il Tribunale di Napoli ha sollevato dinanzi alla Corte di Giustizia Europea, questione pregiudiziale nel procedimento di una lavoratrice contro Poste Italiane, sulla contraddittorietà presente nell’ordinamento italiano tra quanto disposto dall’ art. 32 della legge n. 183/2010 (collegato lavoro) e, l’ordinario strumento risarcitorio, previsto per ogni altro settore del diritto civile (art. 18 Statuto lavoratori).
L’art. 32 del collegato lavoro, riconosce, in caso di contratto a termine illegittimo, una indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità della retribuzione globale di fatto; viceversa, la tutela risarcitoria prevista dall’art. 18 Statuto dei lavoratori sarebbe molto più ampia ed elevata.
Questa contraddizione, comporterebbe, secondo il Tribunale di Napoli, una violazione dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e inserito in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, volta a garantire, nel lavoro a tempo determinato il rispetto del principio di non discriminazione. Tale direttiva, ricordiamo, stabilisce infatti che, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.
Nel procedimento principale, il Giudice del lavoro Italiano è stato adito da una lavoratrice delle Poste Italiane al fine di accertare l’illegittimità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro, in quanto la causale sostitutiva apposta al contratto non era accompagnata da alcune indicazioni ritenute essenziali (l’identità dei lavoratori da sostituire, la durata della loro assenza e il tipo specifico di ragioni sostitutive).
Come conseguenza di tale accertamento, la lavoratrice chiedeva la trasformazione del contratto del suo contratto di lavoro a tempo determinato in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, la reintegrazione nel suo posto di lavoro e il pagamento delle retribuzioni maturate nel periodo passato dalla fine del rapporto alla ripresa del lavoro.
Il Tribunale di Napoli pur dando ragione alla lavoratrice ha sollevato questione pregiudiziale ritenendo che il risarcimento previsto dal Collegato lavoro “sarebbe alquanto penalizzante per il lavoratore a tempo determinato in quanto, a prescindere dalla durata del procedimento e dal momento in cui sia reintegrato nel suo posto di lavoro, questi non potrà percepire un’indennità superiore a 12 mensilità al massimo. Sotto questo profilo, il lavoratore illecitamente assunto a tempo determinato fruirebbe di una tutela meno favorevole rispetto a quella prevista in base ai principi del diritto civile nonché di quella riservata al lavoratore assunto a tempo indeterminato licenziato illecitamente il quale, nei casi previsti dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, ha diritto al versamento di un’indennità commisurata al lasso di tempo trascorso dal giorno del licenziamento illecito sino a quello dell’effettiva reintegrazione nel posto di lavoro”.
Pertanto, chiede alla Corte Europea se, la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che impone di trattare in maniera identica l’indennità corrisposta in caso di apposizione illecita di un termine ad un contratto di lavoro e quella versata in caso di illecita interruzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
La Corte Europea ricorda intanto che, ai sensi della clausola 1, lettera a), dell’accordo quadro, uno degli obiettivi di quest’ultimo è di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato, garantendo il rispetto del principio di non discriminazione.
“La clausola 4, mira a dare applicazione a tale principio nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, al fine di impedire che un rapporto di impiego di tale natura venga utilizzato da un datore di lavoro per privare questi lavoratori di diritti riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato (sentenza del 13 settembre 2007, Del Cerro Alonso, C‑307/05, Racc. pag. I‑7109, punto 37).
Tuttavia, precisa la Corte, come risulta dalla formulazione letterale stessa della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro, la parità di trattamento non si applica fra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato non comparabili. Di conseguenza, per valutare se l’indennità corrisposta in caso di illecita apposizione di un termine ad un contratto di lavoro a tempo determinato e quella versata in caso di illecita interruzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato debba essere determinata in modo identico, occorre innanzitutto verificare se sia possibile ritenere che gli interessati si trovino in situazioni comparabili
La Corte non ritiene queste due situazioni comparabili e pertanto, conclude stabilendo il principio che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che non impone di trattare in maniera identica l’indennità corrisposta in caso di illecita apposizione di un termine ad un contratto di lavoro e quella versata in caso di illecita interruzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato poichè, appunto le due situazioni non sono equivalenti.