Con sentenza n. 3394/2017 la III Sez. Penale della Corte di Cassazione ha chiaramente affermato che il rifiuto di eseguire un ordine illecito dato da un superiore è un dovere del lavoratore.
Il caso di specie ha riguardato un lavoratore che si è visto condannare per il reato di “Frode nell’esercizio del commercio” ex art. 515 c.p., perché, in concorso con altra dipendente nonchè responsabile del punto vendita e superiore gerarchico del lavoratore, “detenevano per la vendita prodotti alimentari con la data di scadenza alterata, nella specie rappresentati da una decina di confezioni di hot dog”.
Nel corso del giudizio era emerso che tale comportamento era stato imposto al lavoratore dal diretto superiore (nonchè coimputata nello stesso procedimento) ovvero dalla direttrice di filiale (a sua volta dipendente dell’azienda) e che, lo stesso lo aveva eseguito per timore di subire ritorsioni sul luogo di lavoro, non vi è stato quindi da parte del lavoratore il rifiuto di eseguire un ordine illecito.
Il lavoratore invocava l’esimente dello stato di necessità e quindi di non aver potuto evitare la condotta incriminata per il timore di un pregiudizio alla sua persona, consistente nel licenziamento.
Il rifiuto di eseguire un ordine illecito è un dovere se questo è dato da un superiore ma non dai vertici
Secondo la Corte la giustificazione sul mancato rifiuto del lavoratore di eseguire un ordine illecito, poteva essere presa in considerazione nel caso in cui, ad ordinare la condotta vietata fosse stato un soggetto che rivestisse una posizione apicale nell’azienda, in quanto il lavoratore non avrebbe avuto altri superiori ai quali denunciare il comportamento illecito impostogli, cosa che però non riguardava il caso di specie.
Il lavoratore avrebbe dovuto rifiutarsi di ottemperare all’ordine illecito impostogli e avrebbe potuto denunciare l’accaduto ad altri suoi superiori. Viene così a cadere la scriminante dello stato di necessità previsto dall’art. 54 c.p. perchè, si legge nella sentenza, pure a voler considerare che “l’imputato avesse soggettivamente ritenuto di correre il pericolo di essere licenziato o di subire un pregiudizio nella sua posizione lavorativa in seguito ad un suo eventuale rifiuto, certamente non ricorreva l’altro presupposto della scriminante ossia l’inevitabilità del pericolo che avrebbe potuto essere evitato, appunto, denunziando la condotta illecita della direttrice”.
Non risulta applicabile neanche la scriminante prevista dall’art. 51 c.p. ossia, l’adempimento di un dovere poichè, secondo consolidata giurisprudenza ma, anche secondo la ratio normativa, il dovere imposto deve provenire da una pubblica autorità o da una norma.
Ne consegue che rientrano in questa ipotesi i soli rapporti di diritto pubblico e non quelli di diritto privato (come è il rapporto di lavoro), dove manca un potere di supremazia, inteso in senso pubblicistico, del superiore riconosciuto dalla legge.
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