Quella del rider è un’attività non di rado al centro di dibattito, in merito ai diritti legati al rapporto di lavoro in essere. Nell’incertezza normativa, non sono infatti mancate controversie legali su questa figura professionale che, a causa della sua estrema specificità, ha spesso diviso le opinioni per ciò che riguarda il perimetro della tutela applicabile al rapporto di lavoro.
Secondo due diverse sentenze del foro di Milano, i riders in quanto lavoratori subordinati o parasubordinati, hanno diritto ai contributi. Vediamo i dettagli.
I rider hanno diritto ai contributi previdenziali
Recentemente sono arrivate buone notizie per i fattorini che, con un mezzo a due ruote, si spostano per vie e strade di grandi città e piccoli centri, per consegnare cibo a domicilio. Uber Eats Italy (che ha lasciato il mercato italiano nei mesi scorsi) e Deliveroo Italia, infatti, dovranno pagare i contributi all’Inps per migliaia di rider – si stima per cifre nell’ordine di alcune decine di milioni di euro. Lo ha deciso il tribunale di Milano – sezione lavoro – all’esito di due distinte cause intraprese dalle note piattaforme di food delivery contro l’Inps.
Vero è che Uber e Deliveroo già alcuni anni fa erano finite nel bersaglio delle indagini della Procura di Milano in merito alle condizioni di lavoro e sicurezza di decine di migliaia di rider, ma oggi quanto sancito dal tribunale meneghino – ed emesso con due sentenze del 19 ottobre scorso – rappresenta una concreta svolta sul piano della tutela dei diritti dei ciclofattorini.
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I riders sono lavoratori co.co.co. e non lavoratori autonomi
Le due cause si fondano sui verbali amministrativi, notificati un paio d’anni fa – come riporta Ansa – dall’Ispettorato del lavoro, e impugnati sia da Uber che Deliveroo. In particolare nei documenti era stato indicato che le posizioni di migliaia di ciclofattorini andavano regolarizzate e poste dunque in piena conformità alla legge italiana.
Questo perché i rider debbono essere inquadrati come collaboratori coordinati e continuativi e non come ‘semplici’ lavoratori autonomi – potendosi avvalere di tutte le garanzie dei subordinati compreso il versamento dei contributi. Vale dunque la disciplina del Jobs Act.
Da ciò sono scaturite due distinte cause – una di Uber l’altra di Deliveroo – contro l’Inps ma, all’esito del cd. procedimento di primo grado, il tribunale di Milano non si è distaccato dall’orientamento dell’istituto di previdenza e dell’Ispettorato del Lavoro.
Il casi Deliveroo e Uber
Nel dettaglio il giudice nelle sentenze ha rimarcato che quella dei rider è un’attività, che segue alla scelta del lavoratore stesso di rendersi disponibile a:
- ricevere ordini da parte della società;
- eseguirli con tempestività secondo modalità e organizzazioni fissate dalle aziende committenti (cd. collaborazione etero-organizzata di cui al Jobs Act).
Proprio per questo il lavoratore non può inquadrarsi come autonomo e il rapporto non può essere inquadrato nella collaborazione occasionale, bensì come lavoro subordinato in senso stretto.
In particolare, nel provvedimento che ha riguardato i rider sotto contratto con Deliveroo, il tribunale di Milano ha stabilito che dal gennaio 2016 al 31 ottobre del 2020 (periodo di attività dei rider):
- va applicata con rigore la normativa del lavoro subordinato valevole nel nostro paese,
- con consequenziale obbligazione per contributi, interessi e sanzioni nei rapporti con l’istituto di previdenza e per premi nei rapporti con l’Inail.
Il tribunale opportunamente specifica che gli obblighi suddetti si applicano per:
l’orario effettivamente svolto dai collaboratori, da determinarsi dal Login fino al Logout dalla piattaforma per ogni singolo giorno lavorativo e con versamenti da effettuarsi nella Gestione Dipendenti, con le aliquote contributive per il lavoro subordinato, per quanto riguarda il debito nei confronti dell’Inps.
Non dissimili le conclusioni nella parallela causa intentata da Uber nei confronti dell’Inps. La decisione però in queste circostanze attiene ad un periodo di attività di lavoro più circoscritto, che va dal gennaio 2020 al 31 ottobre 2020.
Come era lecito aspettarsi, la vicenda non è però chiusa: Uber e Deliveroo non ci stanno e hanno annunciato che faranno appello nelle sedi competenti.
Conclusioni
Per la giurisprudenza italiana, i rider sono lavoratori dipendenti e non autonomi, conseguentemente hanno diritto allo stesso ambito di tutele di chi ha un rapporto di lavoro subordinato – dall’assunzione al versamento dei contributi previdenziali.
Proprio come un qualsiasi lavoratore dipendente, infatti, il rider non ha alcun potere discrezionale in merito allo svolgimento della propria prestazione. Può soltanto scegliere se lavorare o meno e se sceglie di lavorare, dovrà adoperarsi per la consegna a domicilio seguendo totalmente le istruzioni fornite dalla piattaforma di food delivery.
La responsabilità del versamento dei contributi Inps spetta alle aziende solo per i periodi in cui i riders hanno in concreto svolto l’attività, come dimostrabile attraverso l’accesso e l’uscita dall’applicazione fornita dalle aziende.
Perciò secondo i giudici del tribunale di Milano, il singolo rider ha diritto non soltanto a vedersi pagate le ‘commissioni’ dalla piattaforma di food delivery, ma anche al versamento dei contributi, ovvero le somme che andranno ad integrare la futura pensione. Sarà adesso compito dell’Inps calcolare l’esatto ammontare di contributi che le due aziende dovranno versare.