Reato di indebita compensazione anche per contributi INPS: è quanto ha stabilito la Cassazione in una recente sentenza. La condotta di chi, utilizzando in compensazione crediti non spettanti o inesistenti, omette di versare imposte dirette ed IVA, oltre a tutte le somme per cui il pagamento è necessario il modello F24, compresi contributi previdenziali ed assistenziali nonché premi assicurativi INAIL, è punito con il reato di indebita compensazione ai sensi dell’articolo 10-quater del Dlgs. n. 74 del 10 marzo 2000.
Questo l’orientamento consolidato della Corte di cassazione, espresso nella sentenza del 31 agosto 2021 numero 32389, con cui gli Ermellini hanno rigettato il ricorso del legale rappresentante di una Srl contro la sentenza di secondo grado della Corte d’appello di Campobasso, con cui l’imputato era stato condannato alla pena di 1 anno e 3 mesi di reclusione.
Stando al giudice di merito, il ricorrente avrebbe omesso di versare somme dovute, utilizzando in compensazione crediti inesistenti per un ammontare complessivo di 131.238,00 euro per l’anno 2011 ed euro 129.068,00 per il 2012, oltre ad aver occultato scritture contabili e documenti di cui è obbligatoria la conservazione, al fine di non consentire la ricostruzione dei redditi ed evadere le imposte.
La Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso del legale rappresentante, fornisce importanti chiarimenti sulle condotte che integrano il reato di indebita compensazione, in particolare la natura dei crediti e debiti interessati.
Analizziamo la fattispecie in dettaglio.
Credito inesistente o non spettante
Prima di affrontare il tema relativo all’indebita compensazione è utile ricordare la differenza tra credito:
- Non spettante, da riscontrarsi nei casi in cui il credito stesso pur essendo certo per esistenza ed ammontare risulta non utilizzabile (ovvero non più utilizzabile) in compensazione (secondo la Cassazione penale sentenza n. 3367/2014);
- Inesistente, se manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo del credito, la cui inesistenza non possa essere riscontrata con i controlli automatizzati (Circolare Agenzia entrate n. 31/E del 23 dicembre 2020).
Violazione di natura amministrativa
La compensazione di crediti non spettanti comporta una sanzione amministrativa pari al 30% dell’importo eccedente.
Al contrario, la sanzione è elevata dal 100 al 200% dell’ammontare nei casi di compensazione di crediti inesistenti.
Reato di indebita compensazione
Il reato di indebita compensazione (articolo 10-quater Dlgs. n. 74/2000) scatta a fronte di:
- Compensazione di crediti non spettanti per un importo annuo eccedente i 50 mila euro, reclusione da 6 mesi a 2 anni;
- Compensazione di crediti inesistenti per un ammontare eccedente i 50 mila euro annui, reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni.
Come sottolineato dalla giurisprudenza di Cassazione (sentenza Cassazione penale n. 7662/2011) in presenza di più compensazioni nello stesso periodo d’imposta, la rilevanza penale scatta alla data in cui il contribuente compensa crediti inesistenti o non spettanti i quali, sommati alle operazioni precedenti, eccedono la soglia di legge.
Pagamento del debito
Il reato di compensazione non spettante (reclusione da 6 mesi a 2 anni) non si applica (articolo 13 Dlgs. n. 74/2000) se, come si legge nella norma, prima della “dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi” sono stati estinti mediante pagamento degli importi dovuti, anche a seguito di:
- Procedure conciliative;
- Procedure di adesione all’accertamento;
- Ravvedimento operoso.
Nel caso in cui, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, è pendente una rateizzazione, l’estinzione del debito deve avvenire entro 3 mesi (termine prorogabile dal giudice una sola volta), nel corso dei quali la prescrizione è sospesa.
A differenza di quanto detto finora, nei casi di credito inesistente, il pagamento del debito rappresenta una circostanza attenuante del reato.
Compensazione verticale e orizzontale
Nella sentenza numero 32389 la Corte di cassazione, sulla scorta di un orientamento giurisprudenziale consolidato, sottolinea che il reato di indebita compensazione riguarda l’omesso versamento di importi relativi a debiti sia tributari che di altra natura, per il cui pagamento dev’essere utilizzato il modello F24.
In particolare, la fattispecie di reato è integrata a fronte di:
- Compensazione verticale, riguardante cioè crediti e debiti della medesima imposta;
- Compensazione orizzontale, con oggetto crediti e debiti di natura diversa, da inserire nel modello F24, come contributi previdenziali ed assistenziali.
Somme dovute ad INPS ed INAIL
Per giurisprudenza consolidata, come poc’anzi sottolineato, si considerano ai fini del reato di indebita compensazione tutte le somme da versare con modello unificato F24, ivi comprese quelle dovute ad INPS ed INAIL per contributi previdenziali ed assistenziali nonché premi assicurativi.
La ratio di questo orientamento della Cassazione, sottolinea la sentenza del 31 agosto scorso, risiede nella “necessità di punire tutti quei comportamenti che si concretizzano in realtà nell’omesso versamento del dovuto e nel conseguimento di un indebito risparmio di imposta”, ottenuto attraverso la “redazione di un documento ideologicamente falso idoneo a prospettare una compensazione che non avrebbe potuto avere luogo, o per la non spettanza o per l’inesistenza del credito”.
Sotto questo aspetto, è evidente, ancora per la Suprema corte, che
“l’indebito risparmio di imposta che la norma incriminatrice tende a colpire non può essere limitato al mancato versamento delle imposte dirette o dell’Iva, ma coinvolge necessariamente anche le somme dovute a titolo previdenziale e assistenziale, il cui mancato pagamento, attraverso lo strumento della compensazione effettuata utilizzando crediti inesistenti o non spettanti, determina per il contribuente infedele un analogo risparmio di imposta”.
Documentazione contabile
Un aspetto rilevante del reato di indebita compensazione riguarda la presenza o meno di documentazione contabile. Sempre la sentenza n. 32389 del 31 agosto 2021, sottolinea che la condotta punibile penalmente non può “sostanziarsi in un mero comportamento omissivo”, ossia il non aver tenuto le scritture “in modo tale che sia obiettivamente più difficoltosa – ancorché non impossibile – la ricostruzione” della situazione contabile.
Si richiede, al contrario, una condotta commissiva “consistente nell’occultamento ovvero nella distruzione di tali scritture”.
Nella sentenza in parola, la fattispecie di reato è integrata dal comportamento del contribuente reo di aver “occultato le scritture contabili e i documenti di cui è obbligatoria la conservazione in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi, al fine di evadere le imposte”.