Il reato compiuto da un lavoratore fuori dal lavoro, costituisce motivo di licenziamento in tronco, e quindi per giusta causa? Per i giudici della Corte di Cassazione no. Infatti è del tutto illegittimo il licenziamento subito dal lavoratore che aveva effettuato minacce gravi al di fuori del contesto lavorativo per persona del tutto estranea allo stesso.
In tali casi, quindi, la minaccia rivolta non al datore di lavoro e non a colleghi, non inficia il vincolo fiduciario. Questo perché la condotta del lavoratore non ricade sugli obblighi di fedeltà e di collaborazione ai quali il dipendente è tenuto. A stabilirlo è la Suprema Corte con l’ordinanza n. 8390 del 26 marzo 2019.
Reato fuori dal lavoro: il caso
Nel caso di specie, un lavoratore veniva licenziato in tronco reo di aver avuto condotte improprie al di fuori del rapporto di lavoro. In particolare, il lavoratore aveva riportato una condanna per minaccia grave in danno di terzo (vittima di successivo omicidio).
Il datore di lavoro, dal proprio canto, rileva che il comportamento del lavoratore è del tutto in contrasto con gli standards morali della società. Inoltre era evidentemente necessario tenere conto della sintomaticità del comportamento e della particolare delicatezza del settore in cui operava il dipendente.
La Corte d’Appello di Messina, però, ha accolto la domanda del lavoratore annullando il licenziamento. Nel dettaglio si era disposta, non solo la reintegra sul posto di lavoro, ma anche la corresponsione da parte della società all’importo di 139.307 euro. La sanzione comprendeva:
- le retribuzioni calcolate dal licenziamento fino al pensionamento;
- nonché il pagamento dei contributi previdenziali e assicurativi;
- oltre accessori.
La società impugnava a sentenza e ricorreva in Cassazione.
La sentenza della Cassazione
La Suprema Corte ha respinto il ricorso del datore di lavoro, dichiarando il licenziamento illegittimo. Secondo gli ermellini, la minaccia grave in danno di terzi, estranei al rapporto di lavoro, non configura un illecito disciplinare che lede irreparabilmente il vincolo fiduciario.
I giudici del merito hanno ritenuto che il comportamento extra-lavorativo, tenuto dal lavoratore nei confronti di soggetti terzi, non ha avuto influenza sulla valutazione da parte datoriale della capacità del lavoratore di assolvere alla sua prestazione lavorativa.
In altri termini, la minaccia pronunciata fuori dall’ambiente lavorativo e nei confronti di soggetti estranei ha una valenza diversa, nell’accertamento della lesione irreparabile del vincolo fiduciario, rispetto a quella profferita nei confronti del datore di lavoro o in ambito lavorativo. Questo perché la minaccia al di fuori del contesto lavorativa non incide intrinsecamente sugli obblighi di collaborazione, fedeltà e subordinazione cui è tenuto il dipendente nei confronti di un suo superiore.
Pertanto, il comportamento del lavoratore non ha compromesso le aspettative dell’adempimento dell’obbligazione lavorativa. Inoltre, non si rivela incompatibile con il permanere di quel vincolo fiduciario al quale il rapporto di lavoro stesso si fonda né si manifesta come una condotta gravemente lesiva delle norme dell’etica e del vivere civile tale da costituire giusta causa di licenziamento.
In definitiva, il comportamento complessivo del lavoratore è stato ritenuto non idoneo a ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o da compromettere il rapporto di lavoro secondo gli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale.