Il TFS (trattamento di fine servizio), al pari del TFR (trattamento di fine rapporto), è una misura riconosciuta ai dipendenti pubblici al termine del rapporto di lavoro e presenta delle particolarità rispetto ai lavoratori appartenenti al settore privato. La differenza sostanziale sta nelle modalità di erogazione dell’emolumento, nonché i termini di corresponsione, che risultano più penalizzanti per i dipendenti statali.
Affinché un lavoratore della Pubblica Amministrazione possa vedersi riconosciuto il TFS al termine del servizio prestato, deve attendere un arco temporale minimo (da 12 mesi a 24 mesi), che varia in funzione di determinati parametri che vedremo di seguito. Inoltre, come anzidetto, anche le modalità di erogazione sono differenti, poiché – nel caso degli statali – è corrisposta in una, due o addirittura tre rate, a secondo dell’importo spettante al lavoratore.
Tale meccanismo differito è stato introdotto a decorrere dal 1° gennaio 2014. Naturalmente sono stati molti i lavoratori dipendenti che hanno lamentato di subire una forte disparità di trattamenti rispetto alla compagine del settore privato. Questi ultimi, infatti, ricevono il TFR quasi immediatamente al termine del rapporto di lavoro, in base alle scadenze previste dal contratto collettivo applicato. La questione, dunque, ha interessato di recente la Corte Costituzione che, con la sentenza n. sentenza n. 159 del 25 giugno 2019, ha messo la parola fine alla diatriba sollevata.
Ma andiamo per ordine e vediamo nel dettaglio cosa ha detto la Corte Costituzionale nella menzionata sentenza.
Rateazione e differimento del TFS/TFR nella PA: il caso
Nel corso del 2016 una dipendente del settore pubblico decideva di andare in pensione anticipata, avendo maturato la fatidica anzianità contributiva di 42 anni di servizio. Tuttavia, suo malgrado, la lavoratrice si è vista arrivare la prima rata del TFS soltanto due anni dopo, ossia a dicembre 2018. Chiaramente, secondo la lavoratrice, le tempistiche di erogazione della buonuscita sono del tutto scorrette e fuori norma.
L’intera vicenda finiva nelle aule della Corte Costituzionale, che purtroppo dà torto alla lavoratrice giudicando le sue pretese infondate. La motivazione risiede nella Legge di Stabilità 2014 (L. n. 147/2013) che ha deciso sia il differimento che la liquidazione a rate del TFS.
La posizione assunta dalla Corte Costituzionale vale esclusivamente per i lavoratori che accedono alla pensione per ragioni differenti dal raggiungimento dei limiti massimi di età o di servizio, che per l’anno 2019 è pari a 67 anni. Nel caso di specie, quindi, la Corte ha ritenuto non irragionevole il regime restrittivo previsto dal legislatore; questo consiste – come detto – nel differimento dell’indennità in 12 o 24 mesi e il pagamento in rate annuali.
In definitiva, è assolutamente legittimo il posticipo di 24 mesi del pagamento della buonuscita, nonché il pagamento a rate, per i dipendenti pubblici che si dimettono volontariamente dal lavoro. È il caso, ad esempio, del lavoratore che si dimette per aver raggiunto il limite minimo contributivo per accedere alla pensione anticipata, oppure per aver maturato i requisiti anagrafici e contributivi per richiedere la cd. “quota 100” (62 anni e 38 anni di contributi).
Nulla ha detto la Corte Costituzionale in merito al differimento di 12 mesi e delle relative rateazioni per i dipendenti pubblici che vengono collocati in pensione poiché hanno raggiunto l’età per accedere alla pensione di vecchiaia (cd. collocamento in pensione forzoso).
TFS dipendenti pubblici: modalità di erogazione
Quindi, riepilogando, è previsto il differimento dell’erogazione del TFS dei dipendenti pubblici:
- dopo 12 mesi dalla cessazione del servizio per raggiunti limiti di età, oggi a 67 anni, oppure;
- dopo 24 mesi in caso di pensione anticipata.
Quanto alle modalità di erogazione, esse variano in funzione della somma da erogare, come di seguito indicato:
- unica soluzione se di importo pari o inferiore a 50.000 euro;
- in due rate annuali per importo compresi tra 50.000 euro e 100.000 euro
- tre rate annuali per importi superiori a 100mila euro.
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