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di Massima Di Paolo - 5 Novembre 2012
Il Tribunale di Bologna, in una delle prime sentenze sul nuovo articolo 18, dopo la riforma Fornero, da ragione al lavoratore e lo reintegra nel posto di lavoro, considerando il licenziamento disciplinare intimatogli dal datore, illegittimo.
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Il caso ha riguardato un lavoratore licenziato a seguito di battibecco avvenuto tramite mail, con il proprio superiore gerarchico. Il dirigente, con una mail, chiedeva al lavoratore di ricontrollare alcuni disegni facenti parte di un progetto, che erano stati modificati. Il lavoratore rispondeva così:“Confido per martedì 24 luglio 2012 di avere i rilievi con le tempistiche di modifica dei programmi”.
Una risposta che evidentemente non è piaciuta al dirigente che replicava: “Non devi confidare. Devi avere pianificato l’attività, quindi se hai dato come data il 24/7, deve essere quella la data di consegna. Altrimenti indichi una data diversa, che non è confidente ma certa, per favore”.
Il lavoratore ha quindi risposto per le rime “Parlare di pianificazione nel Gruppo …, è come parlare di psicologia con un maiale, nessuno ha il minimo sentore di cosa voglia dire pianificare una minima attività in questa azienda. Pertanto se Dio vorrà per martedì 24/ avrai tutto”. Questa replica lo ha portato ad essere licenziato.
Secondo il giudice del lavoro di Bologna, “da una serena e complessiva valutazione del fatto” emerge “con evidenza la modestia dell’episodio in questione, la sua scarsa rilevanza offensiva, ed il suo modestissimo peso disciplinare”. E ciò perchè il lavoratore dal 2007 svolgeva la sua attività come caporeparto in quella azienda, lo stesso non ha mai avuto richiami o precedenti disciplinari.
Inoltre, la frase incriminata “… è come parlare di psicologia con un maiale”, per il Tribunale non “ è stata detta a freddo e in maniera pensata ma, è stata pronunciata in un momento di evidente disagio dovuto allo stress lavorativo che emerge dalla corrispondenza epistolare, da cui si evince che il lavoraotre era sotto pressione per le imminenti scadenze lavorative”.
Inoltre, la mail del lavoratore faceva seguito ad una mail “il cui contenuto è palesemente ed inutilmente denigratorio” oltreché contenutisticamente “offensivo della professionalità del soggetto; con toni che sono palesemente aggressivi, di rimprovero e dispregiativi”.
Da questi elementi il Tribunale evince che il comportamento del lavoratore non è tale da integrare il concetto di giusta causa del licenziamento ex art. 2119 c.c. Ciò ha rilievo circa la disciplina applicabile secondo la riforma Fornero. Secondo la riforma modificatrice dell’art. 18 della legge 300/1970, il giudice può disporre la reintegra, fra l’altro, allorché ricorra una ipotesi di insussistenza del fatto contestato, o qualora il fatto rientri tra quelli punibili con una sanzione conservativa, alla luce del Ccnl o del codice disciplinare (comma 4).
Nel caso di specie, ricorrono entrambe le condizioni: in merito alla cd ’insussistenza del fatto, si “fa necessariamente riferimento al cd ‘fatto giuridico’, inteso come il fatto globalmente accertato nell’unicum della sua componente oggettiva e nella sua componente inerente l’elemento soggettivo”.
“Nè può ritenersi che l’espressione “insussistenza del fatto contestato” utilizzata dal Legislatore faccia riferimento al solo fatto materiale, posto che tale interpretazione sarebbe palesemente in violazione dei principi generali dell’ordinamento”, in merito alla diligenza ed alla buona fede nell’esecuzione del rapporto lavorativo”.
Una simile interpretazione infatti potrebbe condurre all’applicazione del “licenziamento indennizzato” anche a “comportamenti esistenti sotto l’aspetto materiale e oggettivo, ma privi dell’elemento psicologico, o addirittura privi dell’elemento della coscienza volontà dell’azione”.
Inoltre, sotto il profilo dell’applicabilità delle sanzioni conservative è direttamente il Ccnl metalmeccanici applicabile al rapporto di lavoro in questione, a prevederle, per i casi di “lieve insubordinazione nei confronti dei superiori” solo sanzioni conservativi.
Per tali motivi, il Tribunale, reintegra il lavoratore nel posto di lavoro e condanna la società al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni globali di fatto dovute e non corrisposte dal giorno del licenziamento a quello della reintegra.
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