Da questi elementi il Tribunale evince che il comportamento del lavoratore non è tale da integrare il concetto di giusta causa del licenziamento ex art. 2119 c.c. Ciò ha rilievo circa la disciplina applicabile secondo la riforma Fornero. Secondo la riforma modificatrice dell’art. 18 della legge 300/1970, il giudice può disporre la reintegra, fra l’altro, allorché ricorra una ipotesi di insussistenza del fatto contestato, o qualora il fatto rientri tra quelli punibili con una sanzione conservativa, alla luce del Ccnl o del codice disciplinare (comma 4).
Nel caso di specie, ricorrono entrambe le condizioni: in merito alla cd ’insussistenza del fatto, si “fa necessariamente riferimento al cd ‘fatto giuridico’, inteso come il fatto globalmente accertato nell’unicum della sua componente oggettiva e nella sua componente inerente l’elemento soggettivo”.
“Nè può ritenersi che l’espressione “insussistenza del fatto contestato” utilizzata dal Legislatore faccia riferimento al solo fatto materiale, posto che tale interpretazione sarebbe palesemente in violazione dei principi generali dell’ordinamento”, in merito alla diligenza ed alla buona fede nell’esecuzione del rapporto lavorativo”.
Una simile interpretazione infatti potrebbe condurre all’applicazione del “licenziamento indennizzato” anche a “comportamenti esistenti sotto l’aspetto materiale e oggettivo, ma privi dell’elemento psicologico, o addirittura privi dell’elemento della coscienza volontà dell’azione”.
Inoltre, sotto il profilo dell’applicabilità delle sanzioni conservative è direttamente il Ccnl metalmeccanici applicabile al rapporto di lavoro in questione, a prevederle, per i casi di “lieve insubordinazione nei confronti dei superiori” solo sanzioni conservativi.
Per tali motivi, il Tribunale, reintegra il lavoratore nel posto di lavoro e condanna la società al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni globali di fatto dovute e non corrisposte dal giorno del licenziamento a quello della reintegra.