Per la Consulta è incostituzionale la norma che dispone la revoca delle prestazioni assistenziali per i condannati per gravissimi reati anche se questi scontino la pena in regime alternativo alla detenzione in carcere.
Le prestazioni assistenziali, fondate sullo stato di bisogno, non possono essere revocate ai condannati, anche se hanno commesso reati gravi e scontino la pena ai domiciliari. Stiamo parlando, in particolare, di condannati in regime alternativo alla detenzione in carcere, come ad esempio la detenzione domiciliare. Nonostante tali soggetti abbiano violato il patto di solidarietà sociale, hanno comunque diritto ai mezzi necessari per vivere.
A stabilirlo è la Corte Costituzionale con la sentenza n. 137 del 2 luglio 2021.
Prestazioni assistenziali ai condannati ai domiciliari: il caso
La Corte è stata chiamata a pronunciarsi in merito alla legittimità costituzionale dell’articolo 2, co. 58 e 61 della L. n. 92/2012 (Legge Fornero) sulla base dell’art. 3 e 38 della Costituzione. Ma cosa prevedono le due norme della Riforma Fornero?
Articolo 2, co. 58 della L. n. 92/2012
Il co. 58 prevede che con la sentenza di condanna per i reati più gravi, nonché i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis, il giudice dispone la sanzione accessoria della revoca di alcune prestazioni. Stiamo parlando, in particolare, dell’indennità di disoccupazione, assegno sociale, pensione sociale e pensione per gli invalidi civili;
Articolo 2, co. 61 della L. n. 92/2012
Il co. 61 stabilisce invece che tale revoca, con effetto non retroattivo, è disposta dall’ente erogatore nei confronti dei soggetti già condannati con sentenza passata in giudicato all’entrata in vigore della L. n. 92/2012.
Consulta: revoca delle prestazioni assistenziali ai condannati ai domiciliari
Sul punto, la Corte Costituzionale rammenta un principio molto importante: ossia il diritto all’assistenza di cui agli artt. 2,3 e 38 della Costituzione. Infatti, nessun individuo può essere privato dal minimo vitale in violazione dei predetti principi, anche se siamo difronte a persone che si sono macchiati di reati di particolarità gravità. In altre parole, non si può porre in pericolo la stessa sopravvivenza dignitosa del condannato.
Ne deriva che lo stato deve in ogni caso garantire ai condannati i mezzi necessari per vivere. Chiaramente sono esclusi da tale principio il condannato ammesso a scontare la pena in regime alternativo al carcere, che deve quindi sopportare le spese per il proprio mantenimento.
In conclusione, affermano i giudici, il legislatore ha trattato allo stesso modo e erroneamente, situazioni soggettive del tutto differenti senza prevedere deroghe allorché ricorrano peculiari situazioni, legate:
- all’età avanzata del condannato;
- alla presenza di precarie condizioni di salute;
- nonché, per particolari reati quali quelli di cui al giudizio a quo, anche alla collaborazione con la giustizia.
Il legislatore, difatti, ha così violato il principio di ragionevolezza, in quanto l’ordinamento valuta un soggetto meritevole di accedere forme alternative di detenzione, ma lo priva poi dei mezzi per vivere, ottenibili, in virtù dello stato di bisogno, solo dalle prestazioni assistenziali.