No alla pensione di reversibilità in favore dell’ex coniuge superstite con il solo assegno di mantenimento per il figlio. Infatti, qualora il riconoscimento economico, in sede di separazione, è riconosciuto dal giudice esclusivamente al figlio in convivenza con la madre, il coniuge superstite non ha diritto alla pensione di reversibilità.
A darne notizia è la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1129 del 19 aprile 2019. La decisione dei giudici di legittimità si basa sull’assunto che l’assegno divorzile deve essere giudizialmente riconosciuto dal tribunale, dietro proposizione di apposita domanda. Non è dunque sufficiente una mera titolarità astratta, oppure la circostanza che il coniuge sia stato beneficiario di varie erogazioni economiche in virtù di accordi di fatto stipulati in sede di separazione
Pensione di reversibilità ex coniuge: il caso
Il caso affrontato dalla Suprema Corte riguarda una vedova che avanza domanda di pensione di reversibilità verso la Fondazione Enpam. La stessa ritiene di aver diritto al trattamento previdenziale per il solo fatto di aver percepito l’assegno di mantenimento per il figlio. Assegno, questo, che il giudice stabilì in sede di giudizio di separazione. Da allora il diritto all’assegno di mantenimento, che aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio, non è stato mai modificato. Inoltre, il riconoscimento economico era rivolto esclusivamente al figlio, e non al coniuge.
Il coniuge superstite, dopo essersi vista negata dall’Enpam la possibilità di accedere alla pensione di reversibilità, ricorre al Tribunale di Roma. In questa sede, la ricorrente aveva spiegato che in sede di separazione era stato fissato il contributo dovuto dal marito sia per il mantenimento dei tre figli della coppia che della stessa moglie. Mentre la sentenza che aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio aveva determinato il contributo per i soli figli affidati alla madre e non l’assegno di mantenimento in favore della stessa. Ne discende, ad avviso della ricorrente, che era rimasto valido il contenuto della sentenza di separazione quanto all’assegno di mantenimento in proprio favore.
I giudici romani, però, respingevano la domanda della ricorrente. In particolare, l’assegno previsto in sede di separazione non poteva rivivere una volta dichiarata la cessazione degli effetti del matrimonio.
Dello stesso parere è stata la Corte d’Appello di Roma, che ha confermato la sentenza di primo grado. La questione finisce nelle aule della Corte di Cassazione. Secondo la ricorrente la domanda subordinata di accertamento del diritto all’assegno di divorzio era stata rigettata nel merito. Ciò avrebbe determinato l’implicito accoglimento della premessa logica dell’astratta possibilità di ottenere tale accertamento.
La sentenza
La Corte di Cassazione ha respinto nuovamente la domanda della ricorrente. Dapprima, gli ermellini richiamano l’art. 9 della L. n. 898/1970, il quale prevede che il coniuge rispetto al quale è pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che non è passato a nuove nozze, può vantare il diritto, in caso di morte dell’ex coniuge, all’attribuzione della pensione di reversibilità o di una quota di questa.
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Al riguardo, la prevalente giurisprudenza si è orientata nel senso di ritenere che il riconoscimento del diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità o ad una quota di essa in caso di concorso con altro coniuge superstite, presuppone che il richiedente, al momento della morte dell’ex coniuge, risulti titolare di assegno di divorzio. Tale assegno, tra l’altro, deve essere stato giudizialmente riconosciuto dal Tribunale, attraverso la sentenza che abbia pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Ne consegue che la mancata esplicita attribuzione dell’assegno non costituisce implicito riconoscimento degli accordi in sede di separazione e preclude l’accesso alla pensione di reversibilità.
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