Per la normativa italiana l’orario di lavoro è il periodo di tempo che una persona dedica al lavoro retribuito. Conseguentemente, il datore di lavoro non può esimersi dall’obbligo di pagare lo stipendio al proprio dipendente, per tutto il tempo passato nei luoghi di lavoro aziendali nell’arco del mese.
Una fresca pronuncia della Cassazione fa nuova luce sui diritti dei lavoratori subordinati, in tema di retribuzione e orario di lavoro. Ci riferiamo all’ordinanza n. 14848, depositata lo scorso 28 maggio, che ha respinto il ricorso di una grande azienda di telecomunicazioni e dato ragione ai dipendenti che avevano scelto la via giudiziaria, per veder accolte le proprie richieste.
Secondo gli ermellini ogni minuto passato all’interno dell’azienda va retribuito – e non soltanto quello in cui il dipendente svolge effettivamente le attività di lavoro. Vediamo allora più da vicino i contenuti dell’ordinanza e scopriamo perché merita di essere compresa appieno.
Orario di lavoro e diritto alla retribuzione: cosa dice la Cassazione?
La Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello principale da parte dei lavoratori e in riforma dell’impugnata sentenza – confermata per il resto – dichiarava il diritto degli appellanti alla retribuzione dei:
- cinque minuti giornalieri in quanto tempo effettivo di lavoro, dalla timbratura del cartellino al tornello posto all’ingresso al termine della procedura di log on;
- cinque minuti giornalieri in quanto tempo effettivo di lavoro, dal completamento della procedura di log off fino alla timbratura del cartellino al tornello all’uscita.
Nel giudizio di secondo grado la società datrice di lavoro veniva di seguito condannata a pagare tre distinte somme aggiuntive a tre suoi dipendenti.
Ne è seguito il ricorso in Cassazione che ha però ritenuto infondate le censure e, in sostanza, ha confermato il diritto alla retribuzione di tutto il tempo passato all’interno dell’azienda, compreso quello in cui il lavoratore o la lavoratrice non svolge le mansioni per cui è stato assunto/a.
Pertanto, anche i minuti trascorsi dalla strisciatura del badge all’effettiva accensione del computer per iniziare a lavorare, debbono essere retribuiti – in quanto rappresentano ‘tempo effettivo’ di lavoro. Analogamente debbono essere pagati anche i minuti che separano lo spegnimento del pc dalla timbratura in uscita.
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Orario di lavoro: la normativa di riferimento
Approfondiamo le motivazioni che sorreggono la pronuncia della Cassazione. L’ordinanza è precisa: per la società ricorrente la decisione della Corte d’appello era censurabile proprio perché riconosceva che il tempo di percorrenza impiegato dai dipendenti del caring services, dal momento dell’ingresso nella sede aziendale a quello dell’attestazione dell’inizio della prestazione, mediante login sul proprio personal computer – e viceversa – fosse qualificabile come orario di lavoro retribuito.
Di diverso avviso la Suprema Corte, che ha ricordato che i giudici di secondo grado avrebbero semplicemente applicato l’interpretazione corrente e consolidata della normativa sull’orario di lavoro – d.lgs. n. 66/2003 e direttive comunitarie nn. 93/104 e 203/88. Pertanto la sentenza impugnata non paleserebbe alcuna violazione di legge, indica l’ordinanza della Corte.
Nel decreto 66/2003 infatti l’orario di lavoro viene definito come:
qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni.
Inoltre, come indicato nell’ordinanza del 28 maggio, il tempo retribuito richiede che:
le operazioni anteriori o posteriori alla conclusione della prestazione di lavoro siano necessarie e obbligatorie.
La Cassazione coglie l’occasione per ribadire che in proposito vi è un orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, e di cui si trova traccia ad es. nella pronuncia n. 27008 del 21 settembre dello scorso anno. In quel caso, i giudici rimarcarono che, quando lo spostamento del dipendente è funzionale alla prestazione di lavoro, anche il percorso dal luogo di residenza a quello di lavoro deve essere stipendiato, come orario lavorativo a tutti gli effetti.
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Rileva la presenza e la disponibilità del dipendente sul luogo di lavoro
Non solo. La Cassazione, nel motivare la pronuncia, ha richiamato un altro precedente giurisprudenziale di rilievo per i fatti di causa (sentenza n. 13466 del 2017), ricordando che – onde misurare l’orario di lavoro – il testo del d.lgs. n. 66 del 2003:
attribuisce un espresso ed alternativo rilievo non soltanto al tempo della prestazione effettiva ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro. Ne consegue che è da considerarsi orario di lavoro l’arco temporale comunque trascorso dal lavoratore medesimo all’interno dell’azienda nell’espletamento di attività prodromiche ed accessorie allo svolgimento, in senso stretto, delle mansioni affidategli, ove il datore di lavoro non provi che egli sia ivi libero di autodeterminarsi ovvero non assoggettato al potere gerarchico.
Alla luce di ciò, i giudici di legittimità sottolineano che la corte territoriale non ha affermato nulla di diverso rispetto alla linea giurisprudenziale della Cassazione e alle regole di cui al decreto sull’orario di lavoro del 2003. Tragitto ingresso-postazione di lavoro e postazione di lavoro-ingresso, come pure le attività preliminari ai fini del log in e del log out, sono necessarie e obbligatorie, oltre che eterodirette.
In altre parole, second l’interpretazione corrente della normativa sull’orario di lavoro, va retribuito anche il tempo per le operazioni anteriori o posteriori alla conclusione della prestazione di lavoro stessa, quando esse siano ‘necessarie e obbligatorie’. Questa è la tesi della Corte territoriale, sposata anche dalla Cassazione.
D’altro lato, la Suprema Corte ricorda che è stata la società datrice di lavoro ad indicare come strutturare la propria sede e dove inserire la postazione di lavoro dei ricorrenti ed il percorso da compiere. Inoltre, è l’azienda ad aver assegnato mansioni possibili soltanto con una postazione informatica ed ha perciò scelto il tipo di computer e la procedura di accensione necessaria all’uso della stesso. Per questi motivi la Cassazione ha riconosciuto il diritto alla retribuzione dei lavoratori.
Altri esempi: retribuiti anche il tempo del cambio tuta o divisa aziendale
Sopra abbiamo visto che il lavoratore subordinato ha diritto alla retribuzione dal momento nel quale timbra il cartellino in entrata e fino al momento in cui “ripassa il badge” in uscita.
Ad esempio anche il tempo per il cambio tuta o cambio divisa va analogamente retribuito, perché rientrante anch’esso nell’orario di lavoro. Al dipendente spettano dunque le eventuali differenze retributive non ancora versate.
Si conferma insomma la linea giurisprudenziale secondo cui tutto tutto il tempo al lavoro va stipendiato, e non soltanto quello legato all’esecuzione delle mansioni. Ciò a patto che però sia il datore di lavoro ad imporre precise modalità (luogo e tempo), nell’esecuzione delle operazioni di vestizione e svestizione.
Ricordiamo infine che su questi temi si possono leggere non pochi provvedimenti della Cassazione e, tra essi, ad es. l’ordinanza n. 1573 del 2021 o Cass. Civ. sezione lavoro n. 20179 del 2008 oppure ancora sez. lav. n. 1352 del 2016.