Il lavoratore che svolge mansioni superiori rispetto al livello contrattualmente assegnato, obbliga al datore di lavoro di corrispondere automaticamente la retribuzione maggiore. A tal fine, però, è necessario che le mansioni effettivamente svolte siano prevalenti rispetto agli altri compiti allo stesso affidati.
Il principio di diritto è rilevabile dall’art. 2103 che disciplina lo jus variandi. Quindi, in tema di demansionamento illegittimo, qualora venga accertata l’esistenza di un comportamento contrario al predetto articolo, il giudice di merito:
- da una parte, sanziona l’inadempimento dell’obbligo contrattualmente assunto dal datore di lavoro con la condanna al risarcimento del danno;
- dall’altra, emana una pronuncia di adempimento in forma specifica, di contenuto satisfattorio dell’interesse leso, intesa a condannare il datore di lavoro a rimuovere gli effetti che derivano dal provvedimento di assegnazione delle mansioni inferiori.
Così hanno deciso i giudici della Suprema Corte con la sentenza n. 25673 dell’11 ottobre 2019.
Mansioni superiori: il caso
Nel caso di specie, i giudici della Suprema Corte si sono espressi in merito a un risarcimento del danno subito per mancato riconoscimento di inquadramento superiore. In particolare, i giudici della Corte d’Appello di Brescia, confermando la decisione di primo grado, avevano condannato il datore di lavoro al pagamento del differenze retributive conseguenti al riconoscimento di superiore inquadramento.
Sul punto, i giudici di merito avevano evidenziato che, seppur la lavoratrice non si era occupata del “coordinamento degli operatori”, e cioè della predisposizione dei turni di lavoro degli autisti, aveva comunque svolto plurime attività di controllo. Attività, queste, che non si limitavano alla verifica dei titoli di viaggio, ma si allargavano anche al “controllo sulla regolarità dell’esercizio”: requisito essenziale per il riconoscimento del superiore parametro rivendicato.
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La lavoratrice, evidenziano i giudici di secondo grado, tornando a svolgere (dall’ottobre 2005) la sola attività di autista, era rimasto privato delle mansioni superiori sino a quel momento esercitate. Ciò rifletteva in negativo sia sul piano qualitativo, della sua prestazione, sia sulla professionalità acquisita.
Al riguardo, il datore di lavoro non si era sottratto alla responsabilità derivante dalla violazione dell’art. 2103 cod. civ. In altre parole, la società non aveva provato l’inesistenza all’interno dell’azienda di mansioni equivalenti a quelle in precedenza esercitate dal proprio dipendente.
Avverso la decisione della Corte d’Appello ricorreva per Cassazione il datore di lavoro.
Mansioni superiori, retribuzione: la sentenza
I giudici della Suprema Corte hanno respinto il corso della società. Secondo gli ermellini, anche nel caso in cui il datore di lavoro assegni al lavoratore inquadrato in una determinata categoria solo alcune delle mansioni corrispondenti alla categoria superiore, con prevalenza tuttavia rispetto agli altri compiti allo stesso affidati, opera il meccanismo di avanzamento automatico nella qualifica superiore. Quindi, il principio dell’art. 2103 cod. civ. non richiede che il lavoratore svolga tutte le mansioni di coloro che sono inquadrati nella suddetta qualifica superiore. Infatti, la ratio legis prescrive soltanto che i compiti affidati al lavoratore siano superiori a quelli della categoria in cui è inquadrato.
I giudici hanno accertato come, con la sola esclusione dell’attività di predisposizione dei turni degli autisti, la lavoratrice avesse svolto molteplici attività di controllo. In particolare, come da concordi dichiarazioni di tutti i testimoni, la dipendente effettuava:
- il controllo degli autisti al mattino all’inizio del turno, se essi rispettavano l’orario e se erano in ordine con la divisa aziendale;
- controllava le linee verificando se i passaggi erano regolari o avvenivano con ritardi e anticipi;
- controllava il rispetto dei tragitti da parte degli autisti e il loro comportamento, effettuando anche le eventuali segnalazioni alla direzione aziendale;
- interveniva in caso di problemi con i viaggiatori.
Tali attività, sono certamente riconducibili alla nozione di “controllo sulla regolarità dell’esercizio”, quale requisito centrale per il riconoscimento del parametro 193 (profilo di “addetto all’esercizio”).