Il mobbing sul lavoro che porta a conseguenze per la salute del lavoratore, sono considerati al pari della malattia professionale. Pertanto, l’INAIL riconosce in tali casi uno specifico indennizzo calcolato in base alle tabelle utilizzate per la riduzione delle capacità lavorative, a causa delle minorazioni psicofisiche valutate dalla Commissione medico-legale.
Alla luce di ciò è possibile affermare che rientra nell’ambito della malattia professionale qualsiasi atto dal quale il lavoratore possa dimostrare che è causa della malattia, anche se non incluso nelle tabelle.
A tale conclusione giungono i giudici della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8948/2020, che hanno accolto le ragioni di un lavoratore, che si è visto respingere la domanda di indennizzo per danno da mobbing.
Malattia professionale da mobbing: il caso
Nel caso di specie, la Suprema Corte si è espressa in merito a un caso che vedeva protagonista un datore di lavoro il quale praticava continuamente atti mobbizzanti nei confronti di un suo dipendente.
Il lavoratore, colpito da uno stato di malattia a causa del comportamento datoriale, decide di muoversi per vie legali. Il mobbizzato, in particolare, sosteneva la natura professionale della malattia cagionata dalla condotta mobbizzante del suo datore di lavoro.
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Il giudici di merito, in sede di secondo grado di giudizio, hanno respinto la domanda per il fatto che si trattasse di malattia psicofisica non ricompresa nelle tabelle, quindi non indennizzabile.
La Corte d’Appello, infatti, accoglie i motivi di gravame sollevati dall’INAIL e nega al lavoratore il riconoscimento della natura professionale causata dal mobbing.
La motivazione di fondo che sta alla base di tale decisione è che le malattie le quali non derivano in modo diretto dalle lavorazioni elencate nell’art. 1 del Dpr. n. 1124/1965, non possono essere indennizzate secondo le previste tabelle INAIL. Secondo tale previsione, quindi, non è indennizzabile il danno da “costrittività organizzativa” come il mobbing.
Malattia derivante da mobbing: la difesa
Il lavoratore decide di impugnare la sentenza e ricorrere in Corte di Cassazione. Innanzitutto, secondo il ricorrente, la “costrittività organizzativa” è in realtà indennizzabile ai sensi del DPR n. 1124/1965, anche se non tabellata, in quanto rischio specifico improprio comunque tutelato.
Inoltre, con il D.M. 11 dicembre 2009 è stata approvata una nuova tabella contenente espressamente le disfunzioni della organizzazione del lavoro, vale a dire la cd. costrittività organizzativa, nella lista due.
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Infine, specifica il lavoratore, i giudici di merito avrebbero omesso un fatto decisivo nella controversia, ossia le ragioni per le quali ha subito dal 2005 una sottrazione di compiti da parte del presidente della cooperativa, costringendolo a un’attività forzata.
Malattia e mobbing: la sentenza
La Suprema Corte ribalta la sentenza della Corte d’Appello e accoglie il ricorso del lavoratore. Secondo gli ermellini, ogni forma di malattia, causata dall’attività lavorativa, deve ritenersi indennizzabile dall’INAIL, anche se non compresa nelle tabelle.
Ciò vale purché il lavoratore dimostri il nesso di causalità tra il lavoro svolto e la causa dannosa-invalidante; nel caso di specie sarebbe l’effetto del mobbing.
Quindi, alla luce dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale illustrata “nell’ambito del sistema del T.U., sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione.
È incongrua dunque una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni; sottoponendolo quindi a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica.
Si ricorda, infine, che detta tutela è sorretta tra l’altro dall’art. 38 della Costituzione. Esso prevede che:
“I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia […]”.