Una significativa sentenza segna un oggettivo passo avanti sul piano della tutela dei lavoratori, in caso di insorgenza di serie problematiche di salute. Ad emetterla è la Corte di Giustizia UE, affrontando lo specifico argomento dell’inabilità sopravvenuta del dipendente e dell’annullabilità del licenziamento deciso dal datore di lavoro, che non si è adeguatamente adoperato per assegnare altre mansioni al lavoratore divenuto inabile.
Di riferimento è la sentenza del 18 gennaio scorso, nella causa C-631/22, riguardante un rapporto di lavoro in territorio spagnolo. Vediamo più da vicino gli ultimi aggiornamenti giurisprudenziali a riguardo.
Licenziamento per sopravvenuta disabilità del lavoratore: la vicenda in sintesi
Onde inquadrare il contesto di riferimento, ricordiamo che il caso atteneva ad un lavoratore subordinato di un’impresa spagnola, assunto per svolgere le mansioni di conducente full time di automezzi per la raccolta di rifiuti. Egli durante la prestazione di lavoro, patì un grave infortunio per cui fu – inizialmente – dichiarato inabile al lavoro in via temporanea. Successivamente, su richiesta del dipendente l’azienda lo spostò di fatto ad altre mansioni, e ad un posto in cui potesse essere idoneo nonostante l’handicap sopravvenuto delle menomazioni fisiche.
La vicenda però non finì qui. L’istituto nazionale del lavoro spagnolo infatti modificò in seguito la dichiarazione di inidoneità in permanente totale, con la conseguente assegnazione di un’indennità mensile corrispondente al 55% della sua retribuzione giornaliera. In ultima battuta l’azienda che lo assunse a suo tempo, scelse la via del licenziamento. Il dipendente però si oppose, giungendo fino alla Corte di Giustizia UE.
Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE
In particolare, fu il giudice di appello spagnolo a rinviare pregiudizialmente il caso alla Corte di Giustizia UE, sottolineando la possibile incompatibilità della legge spagnola con l’art. 5 della direttiva 2000/78/ CE – in tema di parità di trattamento dei lavoratori e sul divieto di discriminazione.
La normativa di quel paese consente di fatto lo stop al contratto e il licenziamento in quanto:
- l’accertamento dell’inidoneità permanente totale all’esercizio della professione abituale è già essa stessa condizione per l’automatica risoluzione del contratto di lavoro, senza che il datore o azienda debba osservare alcun ulteriore obbligo o formalità, oppure versare un indennizzo distinto rispetto all’indennità mensile di cui sopra;
- non fa dipendere il licenziamento alla previa osservanza di un dovere ‘preliminare’, mirato ad inquadrare, se possibile, soluzioni ragionevoli per assegnare il lavoratore ad altro ruolo e non fargli perdere il posto.
Licenziamento per sopravvenuta disabilità del lavoratore: cosa ha deciso la Corte di Giustizia UE
L’indirizzo della Corte di Giustizia UE, emerso nella trattazione della vicenda, è ben chiaro, in quanto indica la possibilità di annullare – e dunque di privare degli effetti – il licenziamento impartito per sopravvenuta disabilità del lavoratore, in assenza di un tentativo di spostamento del dipendente divenuto inidoneo allo svolgimento delle mansioni.
I giudici hanno quindi stabilito che è compito obbligatorio del datore, verificare la presenza di almeno una soluzione utile a permettere la conservazione del posto di lavoro a chi è diventato inabile. Alternativamente, ed in caso di contestazione, sarà dovere dell’azienda provare che il ricorso ad una o più soluzioni alternative, determinerebbe un insostenibile aggravio di costi per l’azienda.
Altrimenti il comportamento del datore lederebbe i diritti del lavoratore, divenuto inabile ad una certa attività, al contempo costituendo una discriminazione diretta su quest’ultimo, ovvero una situazione in cui – come spiegano varie direttive europee – una persona è trattata meno favorevolmente, sulla scorta di un certo fattore cd. di rischio (discriminatorio), di quanto un’altra persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga.
Non a caso, di riferimento per la Corte di Giustizia UE è la summenzionata direttiva 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro e sul divieto di discriminazione. Nella vicenda affrontata dai giudici, l’infortunio sul lavoro ha prodotto una inidoneità permanente totale e condotto al licenziamento, contro cui il lavoratore ha fatto però ricorso – ottenendo una decisione favorevole da parte dei giudici della Corte UE.
Conclusioni
La Corte di Giustizia ha indicato che l’art. 5 della direttiva 2000/78/CE, letto sulla scorta degli artt. 21 e 26 della Carta dei diritti fondamentali UE – come pure degli artt. 2 e 27 della Convenzione delle Nazioni Unite – deve essere interpretato come ostativo rispetto ad una legge nazionale come quella spagnola, che dà via libera al licenziamento datoriale alle condizioni summenzionate.
Non solo. La Corte ha affermato che detta legge annullerebbe l’effetto utile dell’art. 5 della direttiva 2000/78, che mira a favorire l’esercizio del diritto al lavoro, dando luogo ad una vera e propria violazione del divieto di discriminazione fondata sulla disabilità.
Infine, in riferimento al sistema giuslavoristico e di previdenza sociale nazionale e alla determinazione delle condizioni di concessione delle prestazioni, ogni Stato membro UE deve rispettare il diritto dell’Unione e, conseguentemente, quanto evidenziato sopra.