Il licenziamento rappresenta quella conseguenza a cui solitamente un lavoratore non vorrebbe mai andare incontro – e ciò per ragioni professionali, economiche e previdenziali. Ecco perché l’impugnazione della decisione dell’azienda è più frequente di quanto si possa credere.
Pensiamo a chi si rifiuta di svolgere le mansioni diverse da quelle per cui è stato assunto, ma comunque rientranti nella propria qualifica lavorativa: ebbene, recentemente la Suprema Corte ha affermato che – in questa circostanza – il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è valido e, quindi, non può essere contestato con successo da parte del dipendente sanzionato disciplinarmente.
Vediamo più da vicino gli aspetti chiave della sentenza Cassazione n. 17270 del 24 giugno scorso.
Rifiuto ripetuto e senza giustificazione delle mansioni: la vicenda all’attenzione della Cassazione
Nel caso concreto da cui la pronuncia della Suprema Corte, nell’autunno del 2018 un lavoratore subordinato aveva subìto il licenziamento disciplinare dalla propria azienda, in quanto:
- si era opposto all’assegnazione delle mansioni di autista di automezzo aziendale. In precedenza l’uomo era stato inquadrato come operatore ecologico;
- egli non aveva svolto le diverse mansioni per un periodo di quattro giorni consecutivi;
- non tempestivamente presentò un certificato medico, da cui emergeva un problema di salute tale da impedire di guidare.
Se in tribunale il lavoratore ottenne un provvedimento favorevole, nel secondo grado la Corte d’Appello – su iniziativa dell’azienda – non aveva riconosciuto fondati gli argomenti addotti dal dipendente, per contestare il licenziamento per giustificato motivo soggettivo. Infatti secondo il giudice di secondo grado:
- era irrilevante il fastidio fisico lamentato dal dipendente e utilizzato come motivazione al no allo svolgimento delle diverse mansioni,
- le dichiarazioni fatte dal lavoratore all’interno dei fogli di servizio contraddicevano la sintomatologia lamentata.
Non solo. Nel provvedimento della corte territoriale si può leggere che la considerazione per cui, secondo quanto stabilito dal contratto collettivo, la guida di veicoli era comunque compresa nelle mansioni previste per la sua posizione o qualifica lavorativa.
Evidentemente non soddisfatto della pronuncia, il dipendente aveva proseguito la disputa giudiziaria con ricorso in Cassazione, affermando la violazione degli artt. 2104 c.c. e 73, comma 2, del contratto collettivo applicato, oltre alla nullità della sentenza per ultrapetizione (decisione emessa con elementi che vanno al di là delle richieste delle parti).
In particolare secondo il lavoratore licenziato per giustificato motivo soggettivo, il magistrato non avrebbe potuto estendere i motivi di licenziamento – e quindi il suo potere decisionale – oltre quanto disposto dal Ccnl di settore.
La decisione di rigetto del ricorso
Anche il giudice di legittimità non ha accolto le richieste del lavoratore. Un altro rigetto che ha confermato, di fatto, la decisione del secondo grado. In particolare, secondo la Suprema Corte:
- le ipotesi di giusta causa e giustificato motivo delineate nei Ccnl sono puramente esemplificative;
- il magistrato dovrà perciò compiere una valutazione che tenga conto di tutte le circostanze concrete, per stabilire la gravità del comportamento e la proporzionalità della sanzione applicata nei confronti del lavoratore (in questo caso il licenziamento disciplinare).
In sintesi, nella sentenza Cassazione n. 17270 del 24 giugno scorso si afferma che, nel caso in oggetto, il rifiuto reiterato e ingiustificato di svolgere le mansioni di autista, richieste dal datore, integra ragione sufficiente per fondare la decisione del recesso unilaterale, al di là di quanto indicato nel Ccnl di settore.
Il rapporto tra mansioni e qualifica professionale
La sentenza mira ad un equilibrio tra le esigenze aziendali e la tutela dei diritti dei lavoratori ed è utile infatti per una pluralità di situazioni pratiche. Essa delinea i contenuti del rapporto tra le mansioni previste e la qualifica contrattuale del lavoratore. In particolare:
- si rimarca che la sussistenza dell’obbligo per il lavoratore di svolgere i compiti affidatigli dal datore di lavoro, tranne il caso in cui gli stessi non siano parte delle competenze relative alla sua qualifica professionale e dal suo inquadramento;
- soltanto quando l’azienda o datore di lavoro imponga al proprio dipendente lo svolgimento di prestazioni che vadano oltre rispetto alla propria sfera ed inquadramento, il dipendente potrà legittimamente opporsi e non eseguire l’attività. In tale circostanza il licenziamento eventualmente inflitto sarà illegittimo.
Diversamente, ogni rifiuto ingiustificato e reiterato darà spazio alla decisione del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, come in questo caso. Ecco perché la Cassazione ha colto l’occasione per precisare la centralità del ruolo attribuito al giudice, come soggetto più idoneo ad interpretare correttamente le clausole contrattuali e le norme legali previste in materia di licenziamenti individuali.