La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro ha rilasciato un nuovo approfondimento giurisprudenziale relativamente al licenziamento per ragioni economiche e l’obbligo di repechage del datore di lavoro.
Si tratta quindi un commento ad una sentenza della Cassazione, la n. 10435 del 2 maggio 2018, nella quale viene in sostanza applicata la norma contenuta nella riforma Fornero sulla totale insussistenza delle motivazioni del licenziamento.
Illegittimità del licenziamento per ragioni economiche e obbligo di repechage
La Suprema Corte ha stabilito che il datore di lavoro che nel licenziamento per motivi economici non valuta tutte le possibilità di ricollocazione del lavoratore il cui posto è stato soppresso, incorre nella sanzione della illegittimità del licenziamento; posto ciò non è detto che il lavoratore possa pretendere la tutela reintegratoria e la conservazione del posto di lavoro.
Gli Ermellini sottolineano infatti la necessità che sia verificata la sussistenza di entrambi i presupposti di legittimità:
- sia delle ragioni inerenti all’attività produttiva,
- sia dell’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore.
Il tutto si rende necessario al fine di graduare l’eventuale sanzione.
Si tratta, fa notare la Fondazione Studi, della prima sentenza sull’applicazione dell’obbligo di repechage secondo il nuovo art. 18 così come disegnato dalla riforma Fornero; l’ipotesi è quella della “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”.
Giurisprudenza Flash del 09/06/2018
Nota giurisprudenziale della Fondazione Studi Consulenti del LavoroSENZA REPECHAGE IL LICENZIAMENTO PER RAGIONI ECONOMICHE È ILLEGITTIMO MA NON C’È TUTELA REALE SE NON È “MANIFESTA” L’INSUSSISTENZA DELLA GIUSTIFICAZIONE
Il datore di lavoro che nel licenziamento economico non valuta la possibilità di ricollocazione del lavoratore il cui posto è stato soppresso, incorre nella sanzione della illegittimità del licenziamento, ma non è detto che il lavoratore possa pretendere la tutela reintegratoria e la conservazione del posto di lavoro.
La Corte di cassazione (sez. lav., 2 maggio 2018, n. 10435), preso atto della novità della questione sottoposta, relativa all’interpretazione del settimo comma dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori così come riformato dalla L.n. 92/2012, ha affermato il premesso principio di diritto, per il quale “la verifica del requisito della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento concerne entrambi i presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, quindi, sia le ragioni inerenti all’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore.
La manifesta insussistenza va riferita ad una evidente, e facilmente verificabile sul piano probatorio, assenza dei suddetti presupposti a fronte della quale il giudice può applicare la disciplina di cui al comma 4 del medesimo art. 18 ove tale regime sanzionatorio non sia eccessivamente oneroso per il datore di lavoro”.
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Fondazione Studi - Giurisprudenza Flash del 19/06/2018 (504,9 KiB, 540 hits)
Fonte: Fondazioni Studi
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