Un dipendente può essere licenziato per riduzione di personale anche se l’azienda non presenta elementi che fanno intuire una crisi economica imminente o futura? La risposta è affermativa. L’extrema ratio può essere adottata non soltanto quando si verifichino ragioni economiche che evidenziano un andamento economico sfavorevole, ma anche laddove sia necessario semplicemente incrementare l’efficienza produttiva dell’azienda stessa. A tal fine, però, è necessario che la riorganizzazione dell’azienda sia effettivamente esistente e non pretestuosa.
Quindi, perchè il licenziamento per profitto sia valido occorre dimostrare che da quel preciso riassetto organizzativo aziendale derivi la soppressione del posto di lavoro. Infatti, l’art. 3 della L. n. 604/1966 stabilisce che è sufficiente il manifestarsi di una ragione inerente all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.
Inoltre, il lavoratore licenziato non può sindacare la scelta del datore di lavoro di trasformare altri colleghi da full time a part time. La decisione è giunta dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 19302 del 18 luglio 2019.
Licenziamento per profitto: il caso
I giudici della Suprema Corte si sono espressi in merito a un licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo (GMO), a seguito di riorganizzazione aziendale. Il licenziamento aveva l’obiettivo di aumentare l’efficienza della produzione, dunque, il profitto.
Nei primi due gradi di giudizio, il lavoratore ottiene l’illegittimità del licenziamento. In particolare, la Corte d’Appello di Palermo riduceva l’importo della condanna e le differenze di retribuzione. Inoltre, compensava per un terzo le spese processuali del doppio grado e condannava il datore di lavoro a rifondere al lavoratore la restante quota delle spese. La questione principale a fondamento della decisione riguarda l’andamento economico della società che, verificati i bilanci dell’anno precedente al licenziamento, risultavano in utile.
Dalle scritture contabili e dalle deposizioni dei testi emergeva sì un leggero calo dei profitti tra l’anno 2008 e l’anno 2010 ma i risultati di gestione erano rimasti positivi. Inoltre, le grandezze economiche non erano sufficienti a dimostrare la ricorrenza di una congiuntura sfavorevole non meramente contingente influente in modo decisivo sull’andamento dell’attività, tanto da imporre la risoluzione del rapporto di lavoro.
Tanto più che il datore di lavoro aveva posto rimedio a tale situazione, provvedendo alla trasformazione del rapporto di lavoro di altri dipendenti da full time in part time.
Avverso la decisione dei giudici di merito ricorreva la società in Cassazione.
La sentenza
I giudici della Suprema Corte accolgono il ricorso del datore di lavoro. Secondo gli ermellini, non solo situazioni economiche sfavorevoli possono legittimare il recesso datoriale per GMO. Infatti, l’azienda ben può ridurre il personale anche quando non è in crisi ma solo per aumentare la produttività.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dunque, è legittimo a condizione che la modifica organizzativa dell’impresa, posta a fondamento del recesso, non sia:
- pretestuosa della ragione obiettiva, per come dichiarata dall’imprenditore;
- legata da un nesso di causalità alla soppressione della posizione lavorativa.
Pertanto, se il recesso viene motivato per crisi o spese straordinarie, e poi manca la relativa prova, il provvedimento risulta illegittimo, poiché le ragioni dichiarate sono pretestuose.
Dunque, a nulla rileva se l’azienda ha chiuso lo scorso anno il bilancio in positivo, con evidente riduzione delle passività. In tal contesto, inoltre, la scelta datoriale di convertire alcuni lavoratori da tempo pieno a tempo parziale, non può essere sindacata dal lavoratore licenziato, in quanto esiste la libertà imprenditoriale.
Per concludere, non conta se l’azienda in utile non integri una congiuntura sfavorevole, l’aspetto più rilevante è che dal licenziamento derivi un effettivo aumento della produzione e che la riorganizzazione sia reale.
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