La Cassazione, con sentenza nr. 3224/2014, ha dichiarato la legittimità del licenziamento per inidoneità fisica del lavoratore con qualifica di operaio, se non può svolgere le mansioni assegnate e l’azienda è impossibilitata a trovargli una diversa occupazione (cd. repechage).
Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’appello, respingevano il ricorso del lavoratore, ritenendo legittimo il licenziamento; tuttavia, mentre il Tribunale di primo grado condannava il datore di lavoro al pagamento della somma di € 11.571 a titolo di risarcimento del danno biologico derivato al dipendente dall’aggravamento (della misura dell’1-2%) – a causa delle mansioni assegnate – delle patologie sofferte per infortunio occorso in precedente rapporto di lavoro con terzi; la corte d’appello, in parziale riforma della sentenza impugnata, escludeva la responsabilità datoriale per l’aggravamento della salute del dipendente, ritenendo ascrivibile questo allo svolgimento di attività extralavorativa non professionistica di allenatore sportivo di calcio.
Tra i motivi del ricorso, il lavoratore deduceva insufficiente motivazione della sentenza sull’affermata impossibilità di repechage del lavoratore, essendo possibile un cambio di mansioni con altri dipendenti.
Gli Ermellini, nel richiamare giurisprudenza consolidata in materia, affermano che l’impossibilità di utilizzazione del lavoratore (che va fatta con riferimento a mansioni equivalenti, attesi i limiti temporali operanti per un eventuale patto di demansionamento: v. Sez. L, Sentenza n. 6552 del 18/03/2009) deve essere provata dal datore di lavoro, costituendo uno degli elementi che costituiscono il presupposto di fatto ed il requisito giuridico per la legittimità del licenziamento disposto per inidoneità lavorativa; al datore di lavoro, tuttavia, non può chiedersi una prova assoluta ed inconfutabile e la concreta possibilità di diverso impiego del dipendente può emergere solo nel contraddittorio con le parti.
Inoltre, si legge nella sentenza, “con riferimento al giustificato motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni tecniche, organizzative produttive, compete al giudice – che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. – il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte”.
Tale prova, tuttavia, non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell’accertamento di un possibile “repechage”, mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato, e conseguendo a tale allegazione l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti.
Nessuna censura può essere mossa infine, al datore sull’aggravamento di salute del lavoratore dato che, come correttamente affermato anche dalla sentenza d’appello, l’aggravamento delle condizioni di salute del lavoratore deve ritenersi conseguenza più dell’attività extralavorativa del lavoratore stesso (quale allenatore di squadre di calcio di III categoria), ritenuta usurante ed incentrata sul continuo movimento delle gambe, che non con riguardo alle mansioni usualmente svolte in concreto, che richiedevano l’azionamento di una pedaliera che offriva ridotta resistenza.