Il rapporto di lavoro si regge sul rispetto dei diritti e degli obblighi ad esso connessi, come ad es. quello di fedeltà e quello di diligenza. Violarli potrebbe costare caro al lavoratore dipendente, come ricordato da una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 10640 del 19 aprile scorso.
Il provvedimento arricchisce ulteriormente la già copiosa giurisprudenza in tema di licenziamento individuale del lavoratore, focalizzandosi sugli elementi specifici che caratterizzano il recesso unilaterale del datore, dovuto allo scarso rendimento, ossia un grave inadempimento del lavoratore per ciò che attiene all’esecuzione della prestazione lavorativa.
Vediamo più da vicino quando si può parlare di licenziamento per pigrizia, svogliatezza e indolenza.
Licenziamento: inadempimento per pigrizia del lavoratore
Con l’ordinanza n. 10640 del 19 aprile 2024, la Corte di Cassazione affronta nuovamente gli elementi specifici del cd. licenziamento per scarso rendimento, ovvero quello determinato da un grave inadempimento del lavoratore nell’esecuzione della prestazione lavorativa, già oggetto di non poche dispute giudiziarie.
Nel testo del provvedimento i giudici di legittimità spiegano che l’inadempimento di un dipendente, foriero di conseguenze sul piano disciplinare, è legato non al mancato conseguimento del risultato desiderato dall’azienda o dal datore di lavoro, ma alla mancata messa a disposizione delle proprie energie – per lo svolgimento della prestazione di cui al contratto di lavoro.
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In altre parole, non si può essere licenziati per il solo fatto di non aver colto l’obiettivo o traguardo aziendale.
A questo proposito sono assai esaustive e chiare le parole utilizzate dalla Cassazione, nel testo dell’ordinanza del 19 aprile, che richiamano la consolidata linea giurisprudenziale, come di seguito riportato:
il licenziamento per cosiddetto ‘scarso rendimento’, (…), costituisce un’ipotesi di recesso del datore per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, che, a sua volta, si pone come specie della risoluzione per inadempimento, prevista dagli artt. 1453 e segg. Cod. civ. Si osserva infatti che, nel contratto di lavoro subordinato, il lavoratore non si obbliga al raggiungimento di un risultato ma alla messa a disposizione del datore delle proprie energie, nei modi e nei tempi stabiliti, con la conseguenza che il mancato raggiungimento del risultato prefissato non costituisce di per sé inadempimento, giacché si tratta di lavoro subordinato e non dell’obbligazione di compiere un’opera o un servizio (lavoro autonomo).
In sintesi il lavoratore, o la lavoratrice, dovrà mettere a disposizione il proprio tempo e le proprie energie, per lo svolgimento della prestazione lavorativa, senza adottare comportamenti dilatori o non collaborativi, che possano mettere a rischio l’esecuzione della prestazione, fino a danneggiare gli interessi aziendali.
Obblighi di diligenza ed impegno del lavoratore
La stessa Corte rimarca come, in caso di parametri idonei ad acclarare che la prestazione resa dal lavoratore sia svolta con la diligenza e la professionalità media – propria di una certa tipologia di mansioni – il discostamento da questi parametri potrà rappresentare segno inequivocabile di ‘scarso rendimento’. E, perciò, giustificare il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Il licenziamento per scarso rendimento è legittimo laddove il lavoratore subordinato non adempia agli obblighi contrattuali di impegno e diligenza, di fatto dando luogo a performance che, per qualità e/o quantità, si collocano sensibilmente al di sotto rispetto alla media di altri lavoratori.
In linea generale, secondo la Cassazione, per essere legittimo lo scarso rendimento deve attenere alla violazione dell’obbligo di diligente collaborazione del lavoratore subordinato. In sostanza, deve sussistere una evidente e notevole sproporzione tra gli obiettivi fissati e quanto effettivamente svolto nel periodo di riferimento. Ma come appena accennato, lo standard di riferimento non deve essere il traguardo aziendale ma la media di attività tra i vari dipendenti.
Licenziamento del dipendente pigro: ecco quando c’è colpa di scarso rendimento
L’ordinanza in oggetto ha sottolineato inoltre che, per aversi un licenziamento legittimo, occorre che vi sia la colpa del lavoratore. La Suprema Corte infatti spiega che proprio tale elemento soggettivo distingue il recesso per scarso rendimento, da tutte le altre tipologie di recesso unilaterale datoriale, basate su circostanze riguardanti la persona del lavoratore, ma non qualificabili – in senso stretto – come inadempimenti contrattuali. Esse sono infatti situazioni che si verificano sul piano oggettivo, e che indicano una mera perdita di interesse alla prestazione di lavoro.
Infatti nel testo dell’ordinanza si trova scritto che:
avuto riguardo alle fattispecie concrete, occorre tenere distinte le ipotesi in cui ci si dolga della condotta del lavoratore cui si addebitano forme di inadempimento rispetto alla prestazione attesa dal datore, comunque ascrivibili alla sfera volitiva del dipendente, dando luogo al licenziamento cd. ontologicamente disciplinare, dai casi riferibili alle ragioni organizzative dell’impresa, che possono anche ravvisarsi in condizioni attinenti alla persona del lavoratore (Cass. n. 12072 del 2015) quali la sopravvenuta inidoneità per infermità fisica, la carcerazione (Cass. n. 12721 del 2009), il ritiro della patente o la sospensione delle autorizzazioni amministrative (Cass. n. 603 del 1996; Cass. n. 7638 del 1996; Cass. n. 6362 del 2000; Cass. n. 13986 del 2000), la mancanza del titolo professionale abilitante (Cass. n. 25073 del 2013).
Assenza per malattia e condotta colpevole
Inoltre costante giurisprudenza rimarca che non è licenziabile il dipendente, soltanto perché è stato molto tempo assente a causa di una malattia. In questo caso, affinché possa aversi la risoluzione del rapporto di lavoro occorre terminare i giorni previsti nel proprio Ccnl, il cd. periodo di comporto.
Peraltro in tali circostanze si parla di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in quanto in gioco non vi è un comportamento colpevole del dipendente, ma un fatto oggettivo che impedisce di riprendere la prestazione lavorativa.
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Conclusioni
La Suprema Corte ha inquadrato, nel recesso dovuto a scarso rendimento o pigrizia del dipendente, un caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo – riconducibile dunque nella sfera dei licenziamenti di natura disciplinare.
In esso troviamo sia l’inadempimento contrattuale del lavoratore, considerato come il discostamento della prestazione di fatto resa, da quella riconducibile ai parametri di diligenza e alla professionalità media, sia la colpa del dipendente che – per sua scarsa volontà – non ha adempiuto agli obblighi contrattuali, di fatto ledendo gli interessi datoriali o aziendali.
Sarà il datore di lavoro a dover provare, e documentare, la persistenza di un rendimento insoddisfacente e performance costantemente al di sotto delle aspettative, nonostante un contesto lavorativo adeguato.