Capita spesso che il medico curante assegni ai lavoratori in malattia un numero di giorni maggiori di quelli che effettivamente servono a questi ultimi per ristabilirsi e tornare quindi sul posto di lavoro. Ovviamente, anche se il lavoratore si è ripreso prima del previsto, non può certamente prestare altra attività lavorativa retribuita, in quanto i giorni di assenza sono già pagati creando quindi una situazione di incompatibilità.
Non sempre però. Secondo la Corte di Cassazione, Sezione VI Civile – Lavoro, Ordinanza n. 17424/2018, depositata il 4 luglio 2018, risulta illegittimo il licenziamento del lavoratore che risulta assente dal lavoro per gastroenterite impegnato nella tinteggiatura d’esterni. I massimi giudici fanno sapere che non si applica sempre l’estrema ratio della giusta causa quando il lavoratori durante il periodo di assenza per malattia svolge altra attività lavorativa. Ma scopriamone di più.
Dipendente che lavora durante la malattia: la vicenda
La vicenda trae origine da un licenziamento per giusta causa intimato a un lavoratore per avere svolto attività lavorativa in proprio (tinteggiatura di esterni) durante l’ultimo giorno di un periodo di assenza per malattia protrattosi dal 14.7.2015 al 17.7.2015 per asserita gastroenterite.
La società aveva perso la causa sia in primo che secondo grado di giudizio. In particolare, la Corte d’Appello di L’Aquila aveva:
- rigettato il ricorso della parte datoriale e dichiarato il licenziamento illegittimo;
- accolto la proposta della società che avanzava nei confronti del lavoratore la sanzione disciplinare conservativa di tre giorni di sospensione dal lavoro.
La parte soccombente impugna la sentenza e ricorre in Cassazione.
Lavoro in costanza di malattia: licenziamento illegittimo
Gli ermellini danno nuovamente torto alla società. I giudici, infatti, si sono basati sull’ormai consolidato principio in base al quale
“lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio”.
Ciò significa che non basta certamente la circostanza secondo la quale il mero svolgimento di un’attività lavorativa durante la malattia configuri una violazione dei principi di buona fede e diligenza.
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Infatti, non esiste un divieto assoluto per il lavoratore di prestare durante la malattia un’attività lavorativa in favore di terzi, purché:
- il lavoratore non evidenzi una simulazione di infermità;
- non faccia concorrenza al datore di lavoro;
- non comprometta la guarigione del lavoratore;
Conclusioni
Ne deriva che non può prodursi la giusta causa di licenziamento qualora non sia stato provato che il lavoratore in malattia:
- abbia agito fraudolentemente in danno del datore di lavoro, simulando la malattia per assentarsi in modo da poter espletare un lavoro diverso;
- abbia lavorato durante l’assenza con altre imprese concorrenti (con quella cui è contrattualmente legato);
- oppure abbia svolto attività totalmente incompatibili con il tipo di malattia certificata dal medico di base;
- non abbia collaborato al recupero della salute per riprendere al più presto la propria attività lavorativa, compromettendo o ritardando la propria guarigione.
In definitiva, è lecito per la Corte di Cassazione svolgere attività di tinteggiatura di esterni durante il periodo di malattia (gastroenterite nel caso di specie); purché si rispettino le condizioni appena elencate. Difatti, rispettando i predetti vincoli, non sussiste per il lavoratore assente per malattia un divieto assoluto di prestare durante tale assenza attività lavorativa in favore di terzi o per contro proprio.
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