La Cassazione ha rilasciato una nuova sentenza in tema di licenziamento durante la gravidanza per chiusura attività della lavoratrice madre.
Con la sentenza n. 22720 del 28 settembre 2017 ha ritenuto illegittimo il licenziamento durante la gravidanza di una lavoratrice madre per chiusura del reparto dove la stessa prestava servizio. Ma veniamo ai fatti per poi passare al contenuto della sentenza.
Licenziamento durante la gravidanza per chiusura del reparto: fatto e diritto
La legge garantisce la conservazione del posto di lavoro per la lavoratrice madre, o il lavoratore padre che abbia usufruito di congedi, con il divieto di licenziamento dall’inizio della gravidanza, 300 giorni prima del parto, sino al compimento di un anno di età del figlio.
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La normativa di riferimento è il D.lgs. 151/2001 “Testo Unico disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità” e s.m.i.
Le uniche eccezioni che consentono il licenziamento nel periodo tutelato sono quelle indicate espressamente dall’art. 54 del d.lgs. n. 151/2001 :
- colpa grave da parte della lavoratrice, ovvero licenziamento per giusta causa;
- cessazione dell’attività aziendale;
- ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o scadenza del termine;
- esito negativo della prova (fermo restando il divieto di discriminazione).
Nel caso specifico il licenziamento della lavoratrice durante la gravidanza, è avvenuto al termine di una procedura di licenziamento collettivo, avviata per chiusura dell’intero reparto. Da evidenziare inoltre che il reparto interessato dal licenziamento collettivo era dotato di autonomia funzionale.
In precedenza la Cassazione (sentenze n. 23684/2004 e 9551/1999), aveva ritenuto legittimo il licenziamento anche al caso in cui la chiusura non interessi l’intera azienda, ma solo il reparto, se dotato di autonomia funzionale, cui è adibita la dipendente e e salva la prova del repechage.
Licenziamento in gravidanza per chiusura reparto: sentenza
Nel caso in oggetto la Cassazione invece ha rifiutato tale interpretazione dando continuità all’orientamento tuttora prevalente in sede di legittimità.
La suprema Corte ricorda che al fine di tutelare un bene di rilevanza costituzionale l’unica deroga alla tutela della ; per tale motivo, è licenziamento durante la gravidanza per i casi previsti dall’art. 54 d.lgs. 151/2001 e questa deroga non è suscettibile di interpretazione estensiva o analogica.
La lavoratrice madre, quindi, può essere licenziata solo se concorrono entrambe le situazioni previste dal Testo Unico sulla maternità:
- il datore di lavoro deve essere un’azienda;
- vi deve essere una cessazione completa dell’attività.
Pertanto nel caso di specie il licenziamento è illegittimo in quanto la chiusura dell’attività non è stata totale, ma solo di un reparto, nonostante questo avesse autonomia funzionale.
La Corte chiarisce infine che il licenziamento della lavoratrice madre, al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge, è nullo e non meramente privo di temporanea inefficacia.
Quindi da ciò discende che l’intimazione del licenziamento della lavoratrice durante la gravidanza, con previsione di efficacia differita ad epoca successiva al compimento del primo anno di vita del figlio, non vale a modificare i tratti essenziali della fattispecie normativa e del relativo quadro sanzionatorio, ovvero della nullità del licenziamento.
Sentenza Cassazione numero 22720-2017 (383,2 KiB, 954 hits)