I datori di lavoro debbono prestare sempre molta attenzione ale procedure da seguire e ai presupposti per il licenziamento, in particolare quando si tratta di interrompere il rapporto di lavoro con un lavoratore disabile.
Un caso emblematico è quello di cui all’ordinanza della Cassazione n. 18094 del 2 luglio scorso, in cui si dichiara l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo inflitto ad una persona con disabilità. Il datore di lavoro non aveva infatti seguito la procedura disposta dall’art. 10, comma 3, della legge n. 68 del 1999.
Vediamo più da vicino la vicenda e scopriamo perché è importante conoscere ed applicare il dettato di questa normativa, onde evitare fruttuose impugnazioni di licenziamento.
Tutela del diritto al lavoro dei disabili: legge n. 68 del 1999
La tutela del diritto al lavoro delle persone con disabilità è prevista dalla legge 68/1999 come modificata dal d. lgs. n. 151 del 2015. In essa troviamo norme sul collocamento di queste persone, sulle assunzioni obbligatorie, sulle quote di riserva, sugli incentivi in materia, sul fondo regionale sull’occupazione per i disabili e, in particolare, all’art. 10 – relativo al rapporto di lavoro dei disabili obbligatoriamente assunti – troviamo l’indicazione per cui ai dipendenti assunti a norma del presente testo, si applica il trattamento economico e normativo previsto dalle leggi e dai contratti collettivi.
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In particolare dell’art. 10 rileva il comma 3 secondo cui:
Nel caso di aggravamento delle condizioni di salute o di significative variazioni dell’organizzazione del lavoro, il disabile può chiedere che venga accertata la compatibilità delle mansioni a lui affidate con il proprio stato di salute. Nelle medesime ipotesi il datore di lavoro può chiedere che vengano accertate le condizioni di salute del disabile per verificare se, a causa delle sue minorazioni, possa continuare ad essere utilizzato presso l’azienda. Qualora si riscontri una condizione di aggravamento che, sulla base dei criteri definiti dall’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’articolo 1, comma 4, sia incompatibile con la prosecuzione dell’attività lavorativa, o tale incompatibilità sia accertata con riferimento alla variazione dell’organizzazione del lavoro, il disabile ha diritto alla sospensione non retribuita del rapporto di lavoro fino a che l’incompatibilità persista. Durante tale periodo il lavoratore può essere impiegato in tirocinio formativo.
Gli accertamenti – si indica al comma 3 dell’art. 10 in oggetto – sono compiuti dalla speciale commissione medica integrata di cui all’art. 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104. Nella comma 3 si precisa altresì che:
- la richiesta di accertamento e il periodo necessario per il suo compimento non costituiscono causa di sospensione del rapporto di lavoro;
- il rapporto di lavoro può essere risolto nell’ipotesi in cui, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, la predetta commissione accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno dell’azienda.
Proprio queste regole di garanzia non sono state applicate dall’azienda che ha licenziato il dipendente.
L’impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore disabile
Come indicato nell’ordinanza n. 18094 della Cassazione, la Corte di Appello dell’Aquila – con sentenza – aveva confermato la pronuncia di primo grado che aveva ritenuto legittimo il licenziamento inflitto ad un lavoratore disabile assunto obbligatoriamente – in quanto iscritto negli elenchi di cui alla legge n. 68/99. Il recesso era dovuto a giustificato motivo oggettivo, costituito dalla ‘esternalizzazione del servizio di manutenzione’.
Alla sentenza di secondo grado si era opposto il lavoratore, lamentando tra i motivi che la Corte d’Appello si fosse sbagliata nel considerare provato l’adempimento dell’obbligo di repechage gravante sul datore di lavoro, senza tenere in adeguato conto la condizione di invalidità del lavoratore. In particolare si sarebbe palesata la violazione della procedura di garanzia in tema di licenziamento del disabile, di cui al citato art. 10, comma 3, l. 68/1999.
Licenziamento illegittimo del lavoratore disabile: la decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, rilevando che l’appena citata normativa prevede specifiche disposizioni in ordine alla tutela del lavoratore che perda, per un aggravamento della originaria disabilità ovvero per fatti sopravvenuti, l’idoneità alla mansione oggetto della prestazione lavorativa. In particolare, rimarca che l’art. 10 disciplina alcune ipotesi di licenziamento di coloro che sono stati assunti in adempimento degli obblighi gravanti sulle aziende.
Ebbene, in ragione di ciò il licenziamento del disabile va sempre adottato, previo rispetto dei vincoli procedurali. Pertanto il datore di lavoro può risolvere il rapporto della persona con disabilità assunta obbligatoriamente – in ipotesi di significative variazioni dell’organizzazione del lavoro – soltanto qualora la speciale commissione integrata acclari la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno del luogo di lavoro, anche concretizzando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro.
In sintesi la Cassazione:
- ai fini della fondatezza del licenziamento non ha ritenuto sufficiente il motivo addotto dall’azienda e legato all’eliminazione del reparto a cui era adibito il disabile, affidato in seguito a ditta ‘terza’ (esternalizzazione);
- ha modificato l’indirizzo sostenuto dalla Corte di Appello, per cui la malattia del lavoratore e la mancanza di titolo per mansioni diverse giustificavano – essi stessi – la mancanza del repechage (ricollocazione del dipendente in azienda).
Chiaro che l’ordinanza della Suprema Corte è interessante perché ricorda lo speciale vincolo normativo, a cui è sottoposto il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di una persona con handicap certificato. Se il datore di lavoro non segue quanto previsto nella procedura di accertamento di cui alla legge n. 68, art. 10 comma 3, del 1999, e in particolare non dà luogo alla visita da parte della commissione medica integrata – e alle formalità collegate – si esporrà alla fruttuosa contestazione dei dipendente disabile.
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Non a caso nell’ordinanza si rimarca che l’indirizzo della Cassazione è imposto:
dalla “speciale protezione accordata al disabile dalla disciplina interna e sovranazionale, finalizzata a ridurre i margini di apprezzamento discrezionale del datore di lavoro allorquando l’inidoneità alla mansione del lavoratore ponga la questione della eventuale risoluzione del rapporto di lavoro, affidando ad un soggetto qualificato con caratteri di terzietà un peculiare giudizio tecnico”
Conclusioni
Il datore di lavoro non può procedere al licenziamento, in base ad una unilaterale valutazione circa l’incompatibilità della condizione fisica della persona con disabilità con lo svolgimento di altre mansioni – ma deve intraprendere la procedura prescritta.
Ai sensi dell’art. 10, comma 3, legge n. 68 del 1999, spetta alla commissione medica integrata, verificare se, nonostante l’handicap, il disabile assunto obbligatoriamente possa continuare ad essere utilizzato presso l’azienda.
Soltanto se l’organo tecnico terzo e imparziale accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno del luogo di lavoro, anche concretizzando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro nel più ampio quadro di quelli che l’ordinanza definisce “accomodamenti ragionevoli”, il rapporto di lavoro potrà essere interrotto con il licenziamento.
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