Con ordinanza n. 21766 del 2 agosto 2024 la Corte di Cassazione ha fornito un ulteriore contributo alla giurisprudenza in materia di licenziamento disciplinare, confermando la legittimità del provvedimento nei confronti di un lavoratore che, durante un periodo di malattia, aveva svolto attività compatibili con il proprio lavoro senza darne preventiva comunicazione al datore di lavoro e senza avvisare quindi il datore di lavoro di essere parzialmente guarito dalla malattia.
La Suprema Corte ha così ribadito l’importanza dei principi di correttezza, buona fede e degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, che devono governare il rapporto di lavoro, anche durante l’assenza per malattia. Con la stessa Sentenza la Cassazione ha anche ribadito la legittimità per il datore di lavoro di procedere a controlli del lavoratore in malattia da parte di un investigatore privato oltre che alle normali visite di controllo domiciliare dell’INPS.
Analisi della condotta del lavoratore
Il fulcro della decisione della Corte di Cassazione si basa sull’analisi della condotta del lavoratore, che si è reso protagonista di un comportamento in violazione dei doveri generali e specifici derivanti dal contratto di lavoro. In particolare, la Suprema Corte ha evidenziato come il dipendente, nonostante fosse formalmente in malattia, avesse ripreso attività compatibili con il proprio ruolo lavorativo senza informare tempestivamente il datore di lavoro. Questo comportamento è stato ritenuto in contrasto con l’obbligo di diligenza e di fedeltà che incombe sul lavoratore anche durante un periodo di malattia.
La Corte ha infatti sottolineato che l’assenza per malattia non esime il dipendente dal rispettare i principi di correttezza e buona fede, né tantomeno dagli obblighi di leale collaborazione nei confronti del datore di lavoro. Il lavoratore, secondo i giudici, avrebbe dovuto comunicare l’intervenuto recupero delle proprie capacità lavorative, evitando al contempo di svolgere attività che, pur compatibili con la sua mansione, potessero ritardare o compromettere la ripresa del servizio.
Obblighi contrattuali e giusta causa di licenziamento
La decisione della Corte si inserisce in un quadro normativo e giurisprudenziale che attribuisce grande rilievo agli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà. Questi obblighi, secondo la Suprema Corte, impongono al lavoratore di adottare un comportamento leale e responsabile, volto a garantire il regolare funzionamento del rapporto contrattuale. Il mancato rispetto di tali doveri può giustificare il licenziamento per giusta causa, come avvenuto nel caso in esame.
La Corte ha infatti rilevato come la condotta del dipendente fosse rimproverabile almeno a titolo di colpa, denotando imprudenza, abitudinaria noncuranza verso gli obblighi contrattuali e scarsa inclinazione a collaborare con il datore di lavoro. Questi elementi hanno portato i giudici a ritenere sussistente la giusta causa di licenziamento, in quanto il comportamento del lavoratore era tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto di fiducia con il datore di lavoro.
Accertamenti investigativi da parte del datore di lavoro
La stessa ordinanza della Corte di Cassazione ha altresì affrontato la questione della legittimità degli accertamenti investigativi condotti dal datore di lavoro per dimostrare l’insussistenza della malattia del lavoratore.
La Corte ha riconosciuto come legittimo il ricorso a investigazioni private, anche al di fuori delle ordinarie visite fiscali INPS, al fine di accertare la reale condizione del dipendente assente per malattia. Secondo i giudici, tali accertamenti possono essere considerati strumenti leciti per verificare l’effettiva sussistenza dell’incapacità lavorativa dichiarata dal dipendente, purché condotti nel rispetto della normativa vigente e della dignità del lavoratore.
Questa pronuncia rafforza il potere di controllo del datore di lavoro, consentendogli di tutelarsi contro eventuali abusi del diritto di assenza per malattia, e di raccogliere prove concrete per sostenere la legittimità di un eventuale licenziamento per giusta causa.
Implicazioni della sentenza
L’ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce dunque un principio fondamentale: il licenziamento disciplinare per giusta causa è legittimo quando la condotta del lavoratore, anche se avvenuta durante un periodo di malattia, viola in modo grave gli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, mettendo a rischio il rapporto fiduciario con il datore di lavoro. La decisione sottolinea l’importanza per i lavoratori di mantenere un comportamento improntato alla correttezza e alla buona fede, anche durante l’assenza per malattia, evitando qualsiasi attività che possa essere percepita come una violazione degli obblighi contrattuali.
Questo orientamento giurisprudenziale offre ai datori di lavoro una tutela importante contro comportamenti scorretti o ingannevoli da parte dei dipendenti, ribadendo al contempo la centralità della fiducia reciproca nel rapporto di lavoro. Inoltre, la sentenza serve da monito ai lavoratori, richiamando l’attenzione sull’importanza di una comunicazione tempestiva e trasparente con il datore di lavoro, soprattutto in situazioni delicate come quelle legate alla malattia.
Conclusione
In conclusione, l’ordinanza n. 21766 del 2 agosto 2024 della Corte di Cassazione conferma la legittimità del licenziamento disciplinare per giusta causa nei confronti di un lavoratore che, durante un periodo di malattia, svolge attività compatibili con il proprio lavoro senza darne comunicazione al datore di lavoro.
La sentenza ribadisce l’importanza del rispetto degli obblighi contrattuali di diligenza, fedeltà e leale collaborazione, che devono essere osservati anche durante l’assenza per malattia, pena la compromissione del rapporto fiduciario e la conseguente giustificazione del licenziamento per giusta causa.
La stessa sentenza ribadisce la validità degli accertamenti investigativi privati del datore di lavoro che assume un investigatore privato per controllare i comportamenti del lavoratore in malattia.