Può capitare che il lavoratore in età pensionabile, preferisca continuare a lavorare anziché collocarsi a riposo e ricevere il tanto agognato trattamento previdenziale. Tuttavia, la legge stabilisce che il datore di lavoro può ricorrere al licenziamento libero (c.d. ad nutum), senza obbligo di motivazione ed anche verbale in determinati casi.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 13181 del 25.05.2018, interviene in merito alla legittimità del licenziamento del lavoratore che ha maturato i requisiti per accedere alla pensione di anzianità. Sul punto, i massimi giudici hanno stabilito che il licenziamento libero sorge non al raggiungimento dell’età pensionabile, ma al conseguimento effettivo del trattamento previdenziale da parte dell’interessato. Quindi, il datore di lavoro può irrogare il licenziamento al lavoratore che ha maturato i requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia solo se la prestazione gli viene erogata subito.
Licenziamento ad nutum: cos’è
Si ricorda che il licenziamento ad nutum è una ipotesi di licenziamento che non prevede alcuna motivazione nè, tantomeno alcuna formalità procedurale, cioè non prevede la forma scritta obbligatoria.
È possibile ricorrervi soltanto in alcuni casi che richiamiamo di seguito:
- lavoratori assunti in prova;
- dirigenti;
- lavoratori domestici;
- lavoratori ultra sessantacinquenni e le lavoratrici ultra sessantenni in pensione.
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Licenziamento per raggiunti limiti di età
Il caso trae origine da un lavoratore che viene licenziato poiché a detta della parte datoriale avrebbe conseguito sessanticinque anni, e quindi in possesso dei requisiti minimi per accedere alla pensione.
Il lavoratore impugna la sentenza e ricorre alla Corte d’Appello in quanto ritiene che licenziamento sia assolutamente illegittimo, in ragione del fatto che i requisiti pensionistici siano stati raggiunti soltanto per l’accesso alla pensione di anzianità e non a quella di vecchiaia, giacché non era ancora spirato il termine della finestra mobile.
Licenziamento del lavoratore in età pensionabile: la decisione dei giudici
La questione finisce nei tribunali della Suprema Corte la quale, nel confermare la linea espressa dai giudici della Corte di Appello, afferma che:
la possibilità di licenziare liberamente il lavoratore in età pensionabile, con la conseguenza di poter sottrarsi a regimi di tutela dell’art. 18 dello Statuto del Lavoratori (L. n. 300/1970), non può essere fatta valere soltanto perché il lavoratore abbia maturato i requisiti anagrafici e contributivi minimi per collocarsi in pensione; ma è necessario che il trattamento previdenziale è giuridicamente conseguibile dall’interessato.
Quanto affermato dalla Corte di Cassazione trova fondamenta nei principi della Corte Costituzionale; la stessa ha ritenuto compatibile con la Costituzione la previsione del licenziamento ad nutum. In una società come quella attuale, in cui si hanno disoccupazione e sottoccupazione, l’assenza di una piena tutela del diritto al lavoro per i dipendenti che abbiano già conseguito la pensione di vecchiaia trova ragionevole giustificazione nel godimento, da parte loro, di tale trattamento previdenziale.
In altri termini, non basta che il pensionato abbia maturato sia i contributi che l’età per essere licenziamento ad nutum; è cioè obbligatorio attendere i tempi necessari affinché lo stesso possa godere di tale diritto. Pertanto è necessario aspettare i vincoli posto dalla legge che prevedono l’attesa della c.d. finestra mobile, che nel caso di specie è di 12 mesi.
Alla luce dei principi appena richiamati, la Suprema Corte ha confermato la linea seguita dalla Corte d’Appello rigettando il ricorso proposto dalla società; confermando, dunque, l’illegittimità del licenziamento dalla stessa irrogato al proprio dipendente.