I lavoratori che utilizzano spesso la rete autostradale in Italia avranno sicuramente avuto a che fare con il dispositivo Telepass. Sicuramente un modo più pratico e veloce di muoversi in macchina, rispetto al tradizionale pagamento al casello con operatore, ma anche uno strumento il cui utilizzo – recentemente – è finito sotto la lente della Corte di Cassazione.
Senza adeguata e previa informativa a riguardo, l’azienda o datore di lavoro non può servirsi del Telepass al fine di controllare cosa fanno i dipendenti, di fatto geolocalizzandoli e scoprendo se i loro spostamenti e attività sono compatibili con le prestazioni previste in contratto.
Scopriamo allora i dettagli di un’ordinanza di rilievo in tema di controlli a distanza del datore di lavoro e limiti al suo potere disciplinare.
Licenziamento disciplinare per controlli Telepass: il caso concreto all’attenzione della Cassazione
Per capire l’esatta portata dell’ordinanza n. 15391 di quest’anno, che ha rigettato il ricorso di un’azienda datrice di lavoro, ricordiamo in sintesi i fatti di causa. Tale società si era opposta alla precedente decisione della Corte d’Appello, tramite ricorso in Cassazione: presso questo giudice aveva infatti contestato l’annullamento del licenziamento disciplinare disposto in secondo grado (con estinzione del rapporto di lavoro), ma anche il risarcimento stabilito a favore di un lavoratore subordinato – a seguito della raccolta di prove a suo dire ‘non utilizzabili’.
Nei fatti concreti era emerso che il dipendente, tecnico trasfertista, non aveva svolto le attività verso i clienti, secondo le modalità e i tempi che lui stesso aveva indicato. Per scoprire le inadempienze – tali da minare il rapporto di fiducia con l’azienda e costituire perciò motivo di recesso – l’azienda si era servita della geolocalizzazione del palmare che il proprio lavoratore aveva con sé e di quanto emerso dall’utilizzo del Telepass per i pedaggi autostradali, installato nell’auto aziendale.
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In sostanza, il lavoratore aveva mentito in merito allo svolgimento della prestazione di lavoro, e il datore aveva sfruttato il collegamento allo strumento del Telepass, per ottenere le prove delle sue inadempienze contrattuali (ritardi e inesattezze nei rapporti delle prestazioni effettuate).
Controlli a distanza e obbligo informativo dell’azienda
Nel testo dell’ordinanza la Corte ha sottolineato che il dispositivo Telepass era stato inserito, per volontà dell’azienda, nella macchina messa a disposizione del lavoratore per il compimento delle mansioni di cui al contratto. Come spiega questo giudice, il Telepass permette infatti:
all’atto dei transiti autostradali, in entrata e in uscita, la registrazione dei relativi dati, che, una volta forniti al datore di lavoro da chi gestisce il sistema Telepass, consentono un controllo a distanza, sebbene postumo, dell’attività del lavoratore.
In sostanza, con l’apparecchio in oggetto il datore di lavoro mirava a prevenire eventuali abusi da parte del dipendente trasfertista, che altrimenti avrebbe potuto – in piena libertà – agire con modalità e tempistiche totalmente diverse da quelle pattuite con l’azienda.
Secondo la Corte di Cassazione, tuttavia, il datore di lavoro non può servirsi – tout court – dei dati raccolti attraverso il Telepass, per ragioni disciplinari. Quanto emerso dalla geolocalizzazione del dispositivo in uso da parte del dipendente e dai riscontri dei pedaggi autostradali forniti dal Telepass costituisce infatti un insieme di informazioni che non può essere nascosto al dipendente, ovvero quest’ultimo deve essere previamente informato del possibile utilizzo dei dati raccolti con lo strumento del Telepass.
L’irrilevanza della disattivazione del dispositivo Telepass
Non solo. Per giungere alla decisione favorevole al lavoratore trasfertista, la Corte ha altresì affermato che la facoltà in capo al lavoratore di sottrarsi al controllo tecnologico a distanza della sua attività – disattivando il Telepass – non può legittimare i controlli datoriali – e rendere perciò utilizzabili a fini probatori i risultati di detti controlli – laddove il dipendente non sia stato anteriormente e dettagliatamente informato di tutte le modalità d’uso di questi apparecchi e dei possibili controlli sull’effettivo svolgimento delle mansioni in trasferta.
Così d’altronde prevede la legge e, conseguentemente, ogni decisione di stampo disciplinare – in questo caso il licenziamento – deve ritenersi priva di fondamento.
Art. 4 Statuto lavoratori e Codice in materia di dati personali: quando le informazioni raccolte sono utilizzabili?
Se il Telepass viene installato su un’auto aziendale utilizzabile per specifici servizi, deve ritenersi compreso nell’elenco degli strumenti di lavoro e, come tale, sottoposto alla disciplina di cui all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970), in materia di impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo.
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L’azienda avrebbe potuto validamente usare i dati ai fini disciplinari – ed anche per infliggere il licenziamento – solo a condizione di aver previamente dato al lavoratore:
adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
Così prevede il comma 3 dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, facendo riferimento diretto al Codice in materia di protezione dei dati personali.
Concludendo, secondo quanto deciso dalla Corte di Cassazione, il datore di lavoro non può utilizzare i dati registrati attraverso Telepass per geolocalizzare i propri dipendenti, a loro insaputa. Non basta che il dipendente sapesse della presenza del Telepass, intuendo eventualmente possibili controlli sugli spostamenti: l’azienda avrebbe dovuto informarlo tempestivamente e specificamente, prima della trasferta che ha condotto al licenziamento contestato.