Licenziamento collettivo illegittimo se la società da il via libera alla procedura – ai sensi della L. n. 223/1991 – in assenza del rispetto dell’impiego delle cosiddette quote rosa. In particolare, per poter attuare in maniera genuina un licenziamento di tipo collettivo, occorre tenere conto anche della percentuale di manodopera femminile prevista dall’articolo 5, comma 2, della menzionata legge.
Così si sono pronunciati i giudici della Corte di Cassazione, con l’Ordinanza numero 14254 del 24 maggio 2019.
Licenziamento collettivo: percentuale di manodopera femminile
I giudici della Suprema Corte si sono espressi in merito a un licenziamento collettivo, ritenuto illegittimo per violazione della percentuale di manodopera femminile prevista dall’art. 5, co. 2, della L. n. 223/1991. Infatti, sia i giudici del Tribunale che della Corte d’Appello, hanno dichiarato il licenziamento non consono rispetto a quanto previsto dalla menzionata legge, disponendo la reintegrazione dei lavoratori. Inoltre è stato previsto anche il risarcimento come sancito dall’art. 18, co. 1 della L. n. 300/1970 (cd. Statuto dei Lavoratori), successivamente novellato dalla Riforma Fornero (L. n. 92/2012).
I giudici di merito respingeva la doglianza formulata dalla società per la genericità della censura sollevata dalla lavoratrice in sede di opposizione con riferimento alla percentuale di manodopera maschile con mansioni impiegatizie, in forza presso l’intero complesso aziendale. Secondo il ricorrente, la lavoratrice aveva fatto richiamo ai medesimi dati numerici sulla consistenza della manodopera di entrambi i sessi con riferimento al settore impiegatizio, allegati dalla società sin dalla costituzione in giudizio nella fase sommaria, sia con riferimento al reparto amministrativo sia all’intero complesso aziendale.
Gli elementi acquisiti denunciavano chiaramente la intervenuta violazione di legge, per essere la percentuale di personale femminile ridotta da un terzo ad un sesto. Del resto, la parte datoriale aveva fornito alcuna prova contraria, confermando, per contro, gli stessi dati numerici allegati nel pregresso grado di giudizio.
La società impugnava la sentenza e ricorreva in Cassazione.
Licenziamento collettivo illegittimo: serve il rispetto delle quote rosa
I giudici della Suprema Corte confermano le pronunce di primo e secondo grado di giudizio, respingendo di conseguenza il ricorso della società. Innanzitutto, rilevano gli ermellini, che l’art. 5, co. 5 della L. n. 223/1991, stabilisce che l’impresa non può altresì licenziare una percentuale superiore alla percentuale di manodopera femminile occupata con riguardo alle mansioni prese in considerazione.
In caso contrario, infatti, si verifica il divieto di “discriminazione indiretta” sulle pari opportunità. Sul punto, la predetta legge prevede che nella individuazione del personale licenziato deve essere mantenuto l’equilibrio proporzionale esistente tra lavoratori e lavoratrici.
Il tenore letterale della norma dispone che il confronto da operare in relazione al personale da espungere dal ciclo produttivo, va innanzitutto circoscritto:
- sia all’ambito delle mansioni oggetto di riduzione;
- sia all’ambito aziendale interessato dalla procedura;
così da assicurare la permanenza, in proporzione, della quota di occupazione femminile sul totale degli occupati.
Inoltre, la disposizione non prevede una comparazione fra numero di lavoratori dei due sessi prima e dopo la collocazione in mobilità; essa impone invece di verificare la percentuale di donne lavoratrici, e poi consente di mettere in mobilità un numero di dipendenti nel cui ambito la componente femminile non deve essere superiore alla percentuale precedentemente determinata.
Nel caso di specie, si rilevava l’impiego di n. 6 uomini e n. 3 donne nel reparto amministrazione. Dunque, la percentuale di manodopera femminile con mansioni impiegatizie era pari al 33,33%. Nel contesto descritto si era poi proceduto al licenziamento di due donne ed un uomo, e la percentuale di donne licenziate era pari al 66,66%.
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