Nel caso in cui una lettera di sanzione disciplinare sia consegnata a mano, può dirsi recapitata allorquando il datore di lavoro ne legga il contenuto al lavoratore. In alternativa è necessario comprovare la circostanza che la controparte sia venuta a conoscenza del contenuto. Pertanto, la semplice consegna “brevi manu”, ossia consegna diretta, della lettera contenente il provvedimento disciplinare, non si perfeziona se il dipendente si rifiuta di riceverla.
È quanto emerge da una recente decisione della Corte di Cassazione con la sentenza numero 7306 del 14 marzo 2019. Ecco cosa hanno stabilito gli ermellini.
Lettera di sanzione disciplinare: il caso
Il caso trae origine da un provvedimento sanzionatorio disciplinare inflitto da Poste italiane SpA a un proprio dipendente. La sanzione consisteva in una sospensione di 10 giorni dal servizio. La motivazione del provvedimento risiede nell’assenza ingiustificata, da parte del lavoratore, dal luogo di lavoro per un periodo di 8 giorni.
Il dipendente proponeva ricorso, dinanzi il Tribunale di Milano, per ottenere la dichiarazione di illegittimità della sanzione disciplinare. Il Tribunale riteneva la sanzione illegittima, in quanto la stessa non era stata comunicata al dipendente prima dell’esecuzione.
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La società impugnava quindi la sentenza e proponeva ricorso in Cassazione per tre motivi:
- innanzitutto, secondo la parte datoriale, i giudici della Corte d’Appello di Milano non hanno considerato che esiste l’obbligo del lavoratore subordinato di ricevere sul posto di lavoro e durante l’orario lavorativo comunicazioni, anche formali, da parte del datore di lavoro o di suoi delegati. Quindi, in caso di rifiuto del lavoratore, destinatario di un atto unilaterale recettizio, di ricevere una comunicazione comporta che la stessa debba ritenersi regolarmente avvenuta;
- con il secondo motivo, Poste Italiane SpA lamenta che la Corte di merito abbia erroneamente ritenuto che mancasse la prova del contenuto della lettera di contestazione;
- infine, è stata sollevata la questione di proporzionalità della sanzione disciplinare irrogata al dipendente. Sul punto, l’art. 54 del CCNL applicato al lavoratore, sanziona le assenze ingiustificate da tre a sei giorni con la sospensione dal servizio sino a quattro giorni.
Provvedimento disciplinare: i motivi del ricorso
Tutti e tre i motivi del ricorso sono respinti della Corte di Cassazione, che dà ragione al dipendente. I giudici di seconda istanza, infatti, hanno ritenuto sproporzionata la sanzione comminata dalla società. La stessa, infatti, ha errato anche il calcolo dei giorni di assenza ingiustificata del lavoratore dal servizio, perché non ha considerato che tra gli otto giorni contestati erano compresi il giorno di Pasqua e Pasquetta. Per tali giorni non doveva richiedersi l’autorizzazione alle ferie, trattandosi di giorni festivi.
Quindi, in caso di consegna “a mano” della busta chiusa contenente una lettera con l’adozione di un provvedimento disciplinare, in caso di rifiuto del lavoratore a riceverla, non si perfeziona l’avvenuta cognizione. A meno che il datore di lavoro (o soggetto da esso delegato) non ne legga il contenuto al destinatario.
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Nel caso di specie, invece, si può rilevare che in realtà la parte datoriale non abbia tentato di consegnare la lettera al dipendente sul luogo di lavoro. Tant’è che la stessa società ha poi ritenuto necessario notificare la missiva contenente la contestazione al lavoratore, in data successiva, per il tramite dell’ufficiale giudiziario.
Quindi, non può non tenersi conto del fatto che, in base alle concordi dichiarazioni rese dai testi escussi, neppure si aprì la busta da consegnare al dipendente; né si tentò, da parte dell’impiegato addetto alla consegna, di leggerne il contenuto. In altri termini, non si è proceduto ad accertare quale fosse l’oggetto della comunicazione di cui il lavoratore era destinatario.