In caso di licenziamento disciplinare ai sensi dell’art. 7 della legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), il fatto contestato al lavoratore deve coincidere anche con il provvedimento disciplinare. In altri termini, qualora la lettera di licenziamento descriva la condotta posta alla base del recesso in maniera diversa da quella indicata nella contestazione disciplinare, si applica la reintegra sul posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21265 del 28 agosto 2018; nel caso di specie è stata applicata la reintegra “attenuata” ex art. 18, comma 4, della legge n. 300/1970, in quanto il dipendente in questione era stato assunto prima del 7 marzo 2015, ossia prima delle meccanismo delle tutele crescenti previste dal Jobs Act.
Contestazione disciplinare e lettera di licenziamento: la vicenda
Il caso trae origine da un licenziamento disciplinare di un dipendente con qualifica di operatore socio-sanitario e mansioni di ausiliario addetto al servizio di pulizie. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento ed è ha proposto ricorso presso il Tribunale di Lecce, la quale accertava la violazione della procedura di cui all’art. 7 della legge n. 300/1970.
I giudici ordinavano quindi alla società, in applicazione dell’art. 18 comma 6 della legge n. 300 del 1970, di corrispondere al lavoratore la somma di euro 15.426,48 a titolo di indennità risarcitoria pari a 12 mensilità, oltre accessori, dal licenziamento al saldo.
Il licenziamento, infatti, era stato irrogato per una violazione disciplinare diversa da quella indicata in quanto nella lettera del recesso era stata citata la lettera C dell’art. 41 del CCNL in questione, attinente alla recidiva nelle mancanze del lavoratore, mentre di fatto era stato contestato un solo episodio e, cioè, l’assenza ingiustificata dal posto di lavoro per tre giorni consecutivi.
La questione attiene fondamentalmente a una irregolarità formale della contestazione e vertendosi in ipotesi di inefficacia del licenziamento, il Tribunale applicava la previsione di cui all’art. 18 comma 6 della legge n. 300 del 1970 con attribuzione di una indennità risarcitoria determinata nella medesima misura della fase sommaria.
Il lavoratore si opponeva a tale decisione in quanto rilevava che il licenziamento era stato irrogato per una violazione disciplinare diversa da quella indicata nel processo disciplinare e non in relazione ad un vizio procedurale.
La corte di appello, accoglieva il reclamo proposto dal lavoratore, annullando il licenziamento e condannando l’azienda al reintegro dello stesso nonché al pagamento di una indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
La società impugna la sentenza e ricorre per Cassazione.
Falsa applicazione della contestazione disciplinare: la sentenza
I giudici della Suprema Corte hanno rilevato nel caso in questione che il fatto posto a base del recesso era diverso da quello contestato. Pertanto, gli ermellini confermavano l’impossibilità dell’applicazione sia della tutela prevista dal 5 comma dell’art. 18 della legge n. 300/1970 relativa ai casi di sproporzione tra la condotta e la sanzione espulsiva, sia della tutela prevista dal comma 6 del medesimo articolo, concernente la violazione del requisito di motivazione ovvero dei vizi di procedura previsti dagli art. 7 della Legge n. 300/70 e art. 7 della legge n. 604/66.
In particolare, in relazione alla condotta in cui il fatto oggetto del licenziamento non coincideva con quello originariamente contestato, la Corte ha previsto l’applicazione della tutela di cui al comma 4 dell’art. 18, ossia l’applicazione della reintegra sul posto del lavoro oltre al risarcimento del danno (c.d. reintegra attenuata).