E’ legittimo il licenziamento per giusta causa del lavoratore in malattia che presta la sua attività nell’azienda di famiglia. E’ questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza nr. 3630/2017.
Per la Suprema Corte, il comportamento del lavoratore che, durante il periodo di malattia ha lavorato presso l’impresa di famiglia, non solo lede i principi previsti dal CCNL (secondo il quale, il dipendente deve astenersi, in periodo di malattia e infortunio, dallo svolgere attività lavorativa, ancorché non remunerata) ma, costituisce soprattutto una violazione del dovere di diligenza imposto al lavoratore dall’art. 2104 c.c. e del codice etico. Una violazione così grave, da far venir meno il vincolo fiduciario posto alla base del contratto di lavoro e da rendere legittimo il licenziamento.
Il Fatto
Il caso ha riguardato un dipendente di Poste Italiane il quale, veniva licenziato per giusta causa perchè, assente dal lavoro per malattia traumatica, veniva trovato a lavorare per soli due giorni presso la rosticceria della moglie. L’accertamento era avvenuto attraverso l’impiego di agenzie investigative per verificare il comportamento dei lavoratori assenti per malattia
A nulla è valsa la difesa del lavoratore che asseriva come un giorno, lo stesso era stato visitato dal consulente ortopedico INAIL e, pertanto, non era più in tempo per rendere la prestazione lavorativa, mentre il giorno successivo essendo sabato, l’attività non veniva espletava. Il suo comportamento, secondo il datore di lavoro è stato sufficiente a giustificare il licenziamento. Dello stesso avviso anche la Corte d’Appello
I Principi della Cassazione
Per la Suprema Corte, secondo giurisprudenza consolidata, l’utilizzo di agenzie investigative volte al controllo dei dipendenti in malattia è del tutto lecito poichè, “Le disposizioni dell’art. 2 dello statuto dei lavoratori, nel limitare la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a tutela del patrimonio aziendale, non precludono a quest’ultimo di ricorrere ad agenzie investigative – purché queste non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, restando giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione”.
“Le disposizioni dell’art. 5 Statuto dei lavoratori, sul tema dell’ accertamenti da parte del datore di lavoro sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e sulla facoltà dello stesso datore di lavoro di effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza”.
Per gli Ermellini, poco importa se la diversa attività lavorativa o extralavorativa non è stata tale da ritardare o pregiudicare la guarigione. Ciò che conta e che legittima il licenziamento del dipendente è che, un tale comportamento viola i “canoni di diligenza desumibili dall’art. 2104 c.c. e dal codice etico, nonché dal disposto di cui all’art. 54 lett. d) del c.c.n.l. del settore, secondo il quale è dovere del lavoratore “astenersi da qualunque attività – a titolo gratuito od oneroso – o da qualunque altra forma di partecipazione in imprese ed organizzazioni di fornitori, clienti, concorrenti e distributori, che possano configurare conflitto di interessi con la società e astenersi altresì, in periodo di malattia od infortunio, dallo svolgere attività lavorativa ancorché non remunerata”.